di Francesco Romano • Il “bene comune della Chiesa”, come bene del singolo e della comunità, trova la sua sintesi nel concetto di communio. Se unico e indivisibile è il sacerdozio di Cristo, il sacerdozio ministeriale dei chierici si distingue, e li distingue all’interno del popolo di Dio, per il servizio svolto a vantaggio dell’intero Corpo di Cristo espresso dal sacerdozio comune e dal sacerdozio ministeriale, dai laici e dai chierici. La chiamata alla santità, invece, non può avere distinzioni dentro il popolo di Dio, ma è universale.
Superata la nozione di Chiesa come societas inequalis, il Vaticano II offre l’immagine di Chiesa comunità sacramentale. Communio e sacramentum formano un binomio inscindibile. L’azione salvifica di Cristo è visibilmente ed efficacemente presente nella Chiesa nella sua struttura comunionale.
Il diritto canonico, essendo ordinamento della Chiesa, dovrà riflettere la sua natura comunionale ed esprimere il carattere della sacramentalità, per essere lo strumento utile ed efficace al servizio della sua azione salvifica.
L’ecclesiologia di comunione è il fondamento per l’ordine della Chiesa e per le corrette relazioni che si stabiliscono al suo interno, perché questo popolo di Dio sia veramente messianico (LG 9) nella comunione, quale segno e strumento di unità della fede, dei sacramenti e dell’unità gerarchica (can. 205).
La conservazione della comunione con la Chiesa è posta al vertice degli obblighi di tutti i fedeli, sia laici che chierici, anche nel loro modo di agire (can. 209). Il bene comune della Chiesa, i diritti altrui e i propri doveri nei confronti degli altri sono il criterio che i fedeli hanno per esercitare in modo retto i propri diritti (can. 223 §1). Anche l’autorità ecclesiastica, che deve regolare l’esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli, opererà il suo discernimento guidata dal criterio del bene comune (can. 223 §2).
L’appartenenza dell’uomo a Cristo gli rivela la sua nuova natura comunionale modellata sulla vita trinitaria, alla quale viene ammesso, e vissuta all’interno della Chiesa. Il criterio comunionale del bene comune assicura al fedele l’esercizio dei diritti e dei doveri in relazione alla partecipazione all’edificazione del Corpo di Cristo.
La comunione ecclesiale non è un concetto astratto, è un principio costituzionale della Chiesa che trova concretamente attuazione all’interno di una società giuridicamente organizzata. Il popolo di Dio e le relazioni che si stabiliscono al suo interno fondano la loro ragion d’essere nella comune radice che si riassume nella nozione di christifidelis, il fedele battezzato che è nella piena comunione con la Chiesa cattolica (can. 205), sulla quale prendono poi forma le tre figure di laico, di chierico e di consacrato. Sul piano ecclesiale l’uguaglianza fondamentale (can. 204) trova la sua radice nel battesimo che incorpora l’uomo alla Chiesa di Cristo e in essa lo costituisce “persona” (can. 96). Antecedentemente a ogni differenziazione tra laico e chierico esiste questa unità ontologica che è principio di uguaglianza e di condivisione del triplice ufficio profetico, sacerdotale e regale di Cristo.
È su questa base comune di appartenenza e di uguaglianza che si inserisce il principio di varietà per cui ogni fedele, o in forza del solo battesimo o in forza anche della sacra ordinazione, sarà reso partecipe nel modo proprio (suo modo participes) dell’ufficio sacerdotale profetico e regale di Cristo, secondo la condizione giuridica propria [secundum propriam cuisque condicionem] (can. 204).
La condizione giuridica del fedele nel corso della sua vita può cambiare entrando a far parte dello stato clericale, ma il dato permanente e immutabile è che “fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno” (can. 208).
La natura comunionale del battezzato nella Chiesa cattolica lo coinvolge a pieno titolo nelle relazioni che interagiscono all’interno del Corpo di Cristo del quale viene a far parte per la sua nuova condizione ontologica. Non deve sfuggire la grande novità introdotta nel Codex 1983 che estende a tutti i fedeli laici la possibilità di cooperare con i pastori e secondo i propri carismi alla potestas regiminis nell’edificazione del Corpo di Cristo: «Nell’esercizio della medesima potestà [di coloro che sono insigniti dell’ordine sacro (§1)] i fedeli possono cooperare a norma del diritto» (can. 129 §2). Novità significativa quale espressione immediata della riconosciuta radicale uguaglianza, non per mera concessione, ma per la partecipazione ai munera di Cristo che scaturisce dal sacramento del battesimo.
Pertanto, la partecipazione al sacerdozio comune dei fedeli determinerà l’assunzione di obblighi e diritti comuni a qualunque stato giuridico di appartenenza, in quanto radicati nel battesimo, comportando la capacità di esercitare la missione affidata a tutta la Chiesa: “Principio di uguaglianza nella dignità e nell’agire (can. 208); obbligo di conservare sempre la comunione con la Chiesa e di adempiere ai propri doveri (can. 209); obbligo per tutti di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua santificazione (can. 210); dovere-diritto di tutti i fedeli di diffondere l’annuncio divino della salvezza (can. 211); dovere dei fedeli di osservare ciò che i Pastori dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa (can. 212 §1), diritto dei fedeli di manifestare ai Pastori le proprie necessità spirituali e i desideri (can. 212 §2), diritto e dovere, in base alla propria scienza e competenza, di manifestare ai Pastori il proprio pensiero sul bene della Chiesa (can. 212 §3); diritto di ricevere dai Pastori gli aiuti spirituali (can. 213); diritto ad avere un proprio rito e a seguire un proprio metodo di vita spirituale conforme alla dottrina della Chiesa (can. 214); diritto di fondare associazioni e di tenere riunioni (can. 215); diritto di promuovere e sostenere l’attività apostolica (can. 216); diritto ad avere l’educazione cristiana (can. 217); diritto alla libertà di ricerca per chi si occupa di scienze sacre (can. 218); diritto di essere liberi nella scelta del proprio stato di vita (can. 219); diritto alla buona fama e alla tutela della propria intimità (can. 220); diritto di rivendicare i propri diritti nel tribunale ecclesiastico, di essere giudicati secondo le disposizioni di legge, di non essere colpiti da pene canoniche se non a norma di legge (can. 221 § 1-3); obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa e di promuovere la giustizia sociale (can. 222 §§2 e 3); bene comune della Chiesa, diritti altrui e doveri propri quali criteri guida per tutti i fedeli nell’esercizio dei propri diritti (can. 223)”.
Quindi, il principio di uguaglianza di tutti i fedeli cristiani appartiene al solido substrato dell’ecclesiologia conciliare e trova il suo riflesso immediato nella sistematica del Libro II del Codex 1983, operando un capovolgimento di impostazione rispetto al Codex 1917.
Dopo aver definito lo statuto giuridico di ogni fedele sulla base dei diritti e dei doveri radicati nel battesimo, il Codex 1983 delinea prima lo statuto giuridico dei fedeli laici e poi quello dei chierici. Segue, nella Parte II del Libro II la “costituzione gerarchica della Chiesa” presentando la nuova accezione del principio di gerarchia come fonte di comunione e di unità nella pluralità, a differenza della precedente configurazione più di tipo “gerarcologico”.