di Giovanni Pallanti • Il cardinale Joszsef Mindszenty, Primate di Ungheria nacque il 29 marzo 1892 e morì a Vienna il 6 maggio 1975. Ordinato sacerdote il 17 giugno 1915, dopo la prima guerra mondiale e il crollo dell’Impero austro-ungarico andarono al potere i comunisti di Bela Kun. Nel 1919 il futuro primate di Ungheria fu arrestato dal neo regime bolscevico. Il 3 marzo 1944 fu nominato vescovo di Veszprem da Pio XII. Fra il 1944 e il 1945 fu nuovamente imprigionato questa volta dai nazisti. Finita la seconda Guerra mondiale l’Ungheria diventò una repubblica socialista, succube dell’Unione sovietica. Mindszenty diventò un duro oppositore del totalitarismo comunista, che aveva anche forti correnti anticlericali nel suo seno. Fu presto oggetto di ogni tipo di persecuzione: il 26 dicembre 1948 fu prelevato in episcopio dalla polizia e arrestato. Nel frattempo Papa Pio XII lo aveva elevato al rango di cardinale, nel concistoro del 18 febbraio 1946, con il titolo di Santo Stefano al Monte Celio.
Dal giorno dopo Natale del 1948 iniziò una lunga persecuzione che vide il primate di Ungheria oggetto di ogni tipo di tortura, sia fisica che psicologica: fu picchiato per giorni, drogato e costretto ad ascoltare bestemmie, il tutto per spingerlo a confessare di aver commesso reati contro il regime comunista. Dopo un processo-farsa fu condannato all’ergastolo. La persecuzione del cardinale Mindszenty sembrava non dover finire mai. In carcere, dove trascorse 8 anni, non poteva leggere testi sacri e aveva il divieto di inginocchiarsi. Le guardie furono sempre pronte a interromperlo se si accorgevano che recitava preghiere, anche sottovoce. Nel 1956 quando il popolo di Ungheria insorse contro il regime comunista, il cardinale Mindszenty fu liberato dal carcere. Quando le truppe sovietiche repressero nel sangue i patrioti ungheresi, Mindszenty sì rifugiò nell’ambasciata degli Stati Uniti a Budapest.
Quando cominciò il dialogo della Santa Sede con i regimi comunisti dell’Europa centrale e orientale al fine di allargare le maglie della libertà religiosa, il primate di Ungheria si schierò contro la politica di Paolo VI e dell’arcivescovo Casaroli, poi cardinale. Quando Paolo VI si adoperò per liberarlo dall’esilio nell’ambasciata americana di Budapest, il regime comunista ottenne dal Vaticano la promessa del suo silenzio, che gli fu imposto in nome dell’obbedienza che il primate di Ungheria doveva al papa. Quando compì 75 anni, doveva dimettersi dall’incarico formale che ancora rivestiva. Il papa derogò a questo obbligo e solo quando compì 81 anni, Paolo VI chiese le sue dimissioni dalla cattedra primaziale di Ungheria. Il cardinale Mindszenty oppose un rispettoso rifiuto. Papa Montini lo sollevò d’autorità dall’incarico di primate. Trasferitosi dal Vaticano a Vienna, morì nella capitale austriaca pregando per il suo popolo. Il 12 febbraio 2019 Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche del cardinale Mindszenty, dichiarandolo venerabile. Una grande opera di verità che glorifica il nome di un Pastore della Chiesa che si è battuto strenuamente contro ogni totalitarismo.