di Francesco Romano • L’attenzione del Concilio Vaticano II per le strutture interne della Chiesa ha voluto evidenziare che essa per la sua missione salvifica si serve di strumenti terreni che, pur essendo spesso inadeguati, sono al tempo stesso necessari alla sua vita.
Mentre le norme conciliari erano ancora in fase di applicazione, il Papa S. Paolo VI ebbe a dire a proposito delle nuove strutture diocesane “Noi vorremmo raccomandarvi di non fermare il vostro interesse soltanto all’aspetto giuridico che tali innovazioni comportano, quasi che con esse sia alterata la struttura canonica della comunità diocesana e del governo episcopale, ma sappiate piuttosto scorgere, sappiate infondere in esse la carità, che l’intenzione del Concilio vuol mettere in maggiore efficienza nella compagine diocesana” (Discorso ai partecipanti alla XVI settimana nazionale di aggiornamento pastorale, 6 settembre 1966).
In riferimento alle nuove strutture diocesane, nella ricerca di una maggiore adeguatezza degli strumenti terreni al servizio della missione salvifica della Chiesa, il consilium presbyterale ne è esempio eclatante e deve essere visto come il rinnovamento che non rinnega quanto di buono è presente nelle istituzioni del passato.
Tra le fonti ricordiamo S. Cipriano che agiva con il suo collegio presbiterale senza far nulla se prima non si fosse consultato con esso. La communio hierarchica tra vescovo e presbiteri era ben espressa da S. Girolamo con la sua affermazione “Et nos habemus in Ecclesia senatum nostrum, coetum presbyterorum” e da S. Ignazio “Hortor ut in concordia Dei omnia peragere studeatis, episcopo praesidente loco Dei et presbyteris loco senatus apostolici”.
Da queste fonti ne ricaviamo che ogni Chiesa è comunità unitaria sacramentale con a capo il vescovo, ministro ordinario dei sacramenti assistito dal presbiterio; è comunità unitaria di regime governata dal vescovo coadiuvato dai presbiteri; è comunità unitaria di fede, in unità di dottrina proposta specialmente dai presbiteri maestri.
Il tramonto dei collegi presbiterali, cioè la funzione del presbiterio come senatus episcopi, fu dovuto probabilmente alla diversa distribuzione dei collaboratori del vescovo mentre la diocesi perdeva il suo carattere esclusivamente cittadino estendendosi alle zone rurali.
Il Decreto conciliare Presbyterorum ordinis (PO 7) sull’istituzione del consiglio presbiterale, mentre era ancora vigente il Codex del 1917, richiama il primo periodo della Chiesa, mentre si differenzia rispetto alle norme del diritto canonico che prevedevano solo forme di consultazioni tra alcuni sacerdoti o categorie di essi all’interno della diocesi risentendo dell’influsso del sistema beneficiale quale oggetto principale delle consultazioni. Gli esaminatori sinodali svolgevano attività amministrativa per la provvista di parrocchie (can. 389). Il capitolo cattedrale era secondo il can. 391 senatus et consilium Episcopi, ma solo di diritto senza investire l’intera attività della diocesi, con funzioni limitate a singoli atti connessi con la materia beneficiaria. Lo stesso valeva per il consiglio amministrativo (can. 1520 §1), per i vicari foranei (can. 445 ss.) e per i parroci consultori con funzioni specifiche in alcuni processi amministrativi (can. 423 ss.).
Gli istituti che coadiuvavano il Vescovo nel governo della diocesi si esaurivano in questioni connesse con il sistema beneficiale, mentre risentivano per la mancanza di un’apertura alla vita spirituale della Chiesa e alla partecipazione al governo pastorale.
La legislazione conciliare, recuperando la communio hierarchica delle origini della Chiesa, pone il presbitero al centro della pastorale diocesana, congiunto con il vescovo nella funzione di insegnare, santificare e governare.
Dopo il Vaticano II è stato necessario uno sforzo per regolare l’evoluzione del consiglio presbiterale con adeguati strumenti quali il motu proprio Ecclesiae Sanctae; la Lettera circolare Presbyteri Sacra; il documento del Sinodo dei Vescovi sul sacerdozio ministeriale. Il Codex del 1983 prevede la costituzione di un organismo, il senatus Episcopi, che rappresenta il presbiterio, quale unico organo di corresponsabilità nella Chiesa particolare. il Codice di Diritto Canonico dispone che “In ogni diocesi si costituisca il consiglio presbiterale, cioè un gruppo di sacerdoti che rappresentando il presbiterio sia come il senato del vescovo. Spetta al consiglio presbiterale coadiuvare il Vescovo nel governo della diocesi, a norma del diritto affinché venga promosso in modo più efficace il bene pastorale della porzione del popolo di Dio a lui affidata”; “Il consiglio presbiterale ha solamente voto consultivo. Il Vescovo diocesano lo ascolti negli affari di maggiore importanza, ma ha bisogno del suo consenso solo nei casi espressamente previsti dal diritto” (can. 500 §2). Il voto consultivo non deve essere visto come una diminuzione del ruolo del consiglio presbiterale perché il suo compito è di entrare in una condivisione da rendere tutti convinti che certe prospettive vanno perseguite, in cui ciascuno liberamente farà convergere il proprio parere nella comunione. Il consiglio presbiterale non può mai agire senza il Vescovo diocesano al quale soltanto spetta la responsabilità di far conoscere ciò che è stato stabilito (can. 500 §2).
La novità rispetto al Codex del 1917 è data dal coinvolgimento del consiglio presbiterale in tutto il governo della diocesi. Il Vescovo deve sentire il consiglio presbiterale in tutti gli affari di maggiore importanza e non solo in questioni che riguardano la vita dei sacerdoti.
I presupposti dottrinali sui quali il Concilio fonda la norma da cui origina il consiglio presbiterale si ritrovano negli stessi elementi che caratterizzano questo istituto circa la natura, le funzioni e la partecipazione del presbiterio al sacerdozio e alla missione del Vescovo.
La consacrazione e la missione di Cristo ricevuta dal Padre e da Lui resa partecipe attraverso gli Apostoli ai Vescovi loro successori, fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri per essere cooperatori dell’Ordine episcopale (PO 1). Nell’ordinazione presbiterale i Vescovi trovano i necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il Popolo di Dio (PO 7).
Il Decreto Presbyterorum ordinis pone la condizione umana e le funzioni sacerdotali in termini di rapporto, ovvero di communio, con il Vescovo diocesano come partecipazione ordinata di funzioni e di poteri all’ufficio episcopale. I presbiteri venerino nei Vescovi la pienezza del sacramento dell’Ordine e in essi l’autorità di Cristo supremo Pastore. Siano dunque uniti al loro Vescovo con sincera carità e obbedienza (PO 7) Il concetto di communio racchiude l’essenza della partecipazione alle funzioni dell’ufficio episcopale, una comunione “qualificata” che prende il nome di relazione gerarchica la quale, nel nostro caso specifico, si concretizza nell’istituto del consiglio presbiterale.
Nel Decreto conciliare Christus Dominus (CD) i presbiteri, sia diocesani che religiosi, sono considerati “provvidenziali cooperatori dell’Ordine episcopale” in quanto “in unione con il Vescovo partecipano all’unico sacerdozio di Cristo” (CD 28).
La Costituzione dogmatica Lumen Gentium (LG) riconferma il vincolo di comunione tra i presbiteri con i propri Vescovi in termini di cooperazione e “sono a loro congiunti per l’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’Ordine, ad immagine di Cristo sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino” (LG 28).
Il concetto di communio è centrale nella riflessione conciliare. Dal punto di vista giuridico la communio presbiterale pone in relazione l’ufficio dei presbiteri con il Vescovo diocesano mentre il governo della diocesi assume una dimensione unitaria.
Il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi, Apostolorum Successores n. 183, presenta il consiglio presbiterale quale espressione della comunione tra Vescovo e presbiterio in vista della crescita della fraternità tra i diversi settori della diocesi: “L’unione gerarchica tra vescovo e presbiterio fondata sull’unità del sacerdozio ministeriale della missione ecclesiale si manifesta istituzionalmente per mezzo del consiglio presbiterale, espressione della comunione tra il vescovo e il presbiterio in quanto gruppo di sacerdoti che sia come il senato del vescovo in rappresentanza del presbiterio. […] Il Consiglio oltre a facilitare il necessario dialogo tra il Vescovo e il presbiterio serve ad accrescere la fraternità tra i diversi settori del clero della diocesi. Il consiglio affonda le sue radici nella realtà del presbiterio e nella particolare missione ecclesiale che compete ai presbiteri in quanto collaboratori primi dell’ordine episcopale”.
Questa impostazione conciliare ha portato la legislazione canonica a rinnovare le strutture diocesane per assicurare che la loro organizzazione sia più efficiente e rispondente alle esigenze della missione salvifica. Il consiglio presbiterale nel pensiero del Concilio e secondo la mens del Legislatore canonico è espressione eloquente del rinnovamento del rapporto del presbiterio con il sacerdozio e la missione del Vescovo.