di Leonardo Salutati • Il prossimo 13 marzo 2019 si compiranno 6 anni dall’elezione di Francesco al Soglio petrino. In questi anni numerosi sono stati i messaggi e i gesti con cui il Papa, congiungendo tradizione e rinnovamento, fedeltà all’identità della Chiesa e apertura al soffio sempre nuovo dello Spirito Santo, sta tracciando il cammino della Chiesa nel 3° millennio. Tra le tante piste di riflessione vorremmo soffermarci su quella che contrappone un possibile atteggiamento di “autoreferenzialità”, tipico di chi pone al centro di tutti i rapporti se stesso, e tale sarebbe una Chiesa che cercasse la propria affermazione e il proprio interesse e non la gloria di Dio e la salvezza degli uomini, ed il programma di una “Chiesa in uscita”, ovvero una Chiesa proiettata verso il suo Signore, guidata dal primato dell’ascolto obbediente e dell’adorazione, ma rivolta al tempo stesso agli uomini, alle loro necessità, al servizio della loro salvezza eterna, che trova il motivo di questa tensione nel comando di Gesù, che invia i suoi discepoli a portare a tutti la gioia della buona notizia (Mc 16,15).
In particolare oggi, a spingere la Chiesa verso la missione e la “nuova evangelizzazione” è il bisogno degli uomini, anche se spesso non cosciente, di senso e di salvezza, espresso nell’immagine forte di frequente usata da Francesco delle “periferie”, dimenticate o trascurate, che interpellano l’attenzione e l’impegno del discepolo di Cristo.
Le “periferie” sono anzitutto quelle geografiche dei popoli non ancora evangelizzati e di quanti si trovano fisicamente lontani dal cuore pulsante della comunità ecclesiale. Tuttavia, si può vivere in paesi di antica cristianità, a breve distanza da Chiese e centri di vita liturgica e caritativa, senza conoscere il Signore, del tutto inconsapevoli – per propria o altrui responsabilità – del Suo amore e dell’importanza di conoscerlo e di farne esperienza.
Sono queste le “periferie esistenziali”: esse vanno dai cosiddetti “lontani”, che spesso hanno ricevuto un primo annuncio del Vangelo, ma si sono poi allontanati dalla fede per le vicissitudini della vita o per la testimonianza poco o per nulla credibile resa dai credenti, ai nascosti cercatori di Dio, che avvertono nel cuore la nostalgia del Totalmente Altro, ma non conoscono la strada per contemplarne il Volto e ricevere il dono dell’amore divino. Accanto a questi vi è anche chi, con precisa consapevolezza, rifiuta l’orizzonte della fede ritenendolo ingenuo o scomodo o alienante.
Se guardiamo all’altissima percentuale di quanti ordinariamente non frequentano la vita sacramentale, le dimensioni delle “periferie esistenziali” della fede si presenteranno in tutta la loro varietà e complessità. Si tratta di “lontani” che sono comunque amati dal Signore, morto e risorto anche per loro e che continuano ad essere oggetto dell’infinita misericordia del Padre celeste. Portare il Vangelo a queste “periferie” è il compito della Chiesa “in uscita”, che avverte l’urgenza di condividere il più possibile con tutti il dono ricevuto dall’alto, con entusiasmo e generosità.
Tuttavia affinché le buone intenzioni non degradino in una visione intimista del cristianesimo, il Papa ricorda che l’Annuncio cristiano possiede «un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri» ed ha «un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità» (EG 177).
Confessare che Gesù è morto e risorto per tutti gli uomini implica che la sua redenzione ha un significato sociale perché «“Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini” (…) implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali» (EG 178). Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli (cf. GS 24). Dal cuore del Vangelo emerge l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice la quale, se accolta, «provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri» (EG 178).
L’evangelizzazione necessariamente orienta verso un’azione trasformatrice della storia, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo (cf. EG 183). Di conseguenza, nessuno può esigere che i cristiani releghino la loro testimonianza alla segreta intimità delle persone, «senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. (…) Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra» (ibidem).
Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose perché tutti possano goderne (Cf 1Tm 6,17). Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare «tutti gli ambienti e le dimensioni della vita, specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune» (Giovanni Paolo II, Ecclesia in America, 27).