di Dario Chiapetti • Una delle figure più rilevanti della teologia ortodossa moderna, tra quelli della diaspora russa a Parigi e Vladimir Losskij che lasciava, 60 anni fa e a soli 55 anni, il suo percorso terreno. Egli ha influito non poco sia a far conoscere l’Ortodossia all’Occidente sia a far conoscere in modo rinnovato l’Ortodossia all’Ortodossia. Un profondo senso di appartenenza alla sua chiesa e di responsabilità ad impegnarsi a servirla lo contraddistingueva. È per questo che egli, se da un lato, diversamente da coloro che in terra straniera si unirono al patriarcato di Costantinopoli, rimase fedele a Mosca, dall’altro, si adoperò, grazie alle sue indubbie doti intellettuali e attitudine teologica, al rinnovamento della teologia ortodossa attuando quella sintesi neo-patristica che aveva iniziato a teorizzare Georgij Florovskij a metà degli anni ‘30. Losskij adempì a tale compito proprio con particolare riferimento ai padri greci – Gregorio di Nissa, Giovanni Damasceno, Pseudo-Dionigi, Massimo il Confessore e Gregorio Palamas – opponendosi duramente (solo in un primo momento, come ci tiene a precisare Olivier Clément) al pensiero sofiologico, di stampo marcatamente russo e di sapore idealistico, di Sergej Bulgakov.
L’influenza di Losskij nel panorama teologico ortodosso contemporaneo è consistente. L’unico libro pubblicato in vita, l’Essai sur la Théologie Mistique de l’Église d’Orient del 1944, è un punto di riferimento indiscusso per l’ortodossia e dopo la sua morte sono usciti altri importanti testi, raccolte di saggi – come Théologie négative et connaissance de Dieu chez Maître Eckhart (1960), Vision de Dieu (1962), A l’Image et à la Ressemblance de Dieu (1967) – che molto hanno ispirato e fatto discutere. Ma quali sono i temi principali della sua teologia e perché possono risultare interessanti oggi? Seguendo Michel Stavrou essi sono essenzialmente: l’orientamento neopatristico, l’approccio apofatico e quello personalista. Sulla base di questi tre aspetti, passo a tratteggiare uno svelto (svelto come le piccole tele impressioniste che sicuramente avrà ammirato a Parigi) ritratto di Losskij, teologico, quindi, e corale, facendo intervenire più studiosi suoi, tra i più autorevoli, come piccolo omaggio a un teologo di indubbio valore.
Quanto al primo aspetto si scorge nel nostro Autore un rapporto ai Padri fedele ma anche creativo, come si vedrà in riferimento allo studio della nozione di persona. In particolare, grande attenzione viene data alla teologia di Palamas e alla distinzione – già abbozzata dai Cappadoci – tra essenza divina impartecipabile, che dice Dio nella sua assoluta trascendenza, e le energie divine, eterne, increate e personali, che indicano Dio nella sua azione personale e nella sua immanenza, nel suo comunicare la natura divina.
È proprio a partire da tale distinzione che Losskij enuncia l’assoluto (assolutezza attenuata negli ultimi scritti) apofatismo, inteso come il rifiuto di attribuire a Dio le perfezioni che l’uomo conosce a partire dalla sua esperienza terrena. Il punto non è far rientrare Dio in concetti umani ma portare l’uomo nella sfera di Dio. Una netta distinzione tra teologia e economia è quindi rimarcata da Losskij per cui non si possono identificare l’essere e l’essenza di Dio con le sue manifestazioni o energie. Finanche l’amore – nota Johannes Miroslav Oravecz – non è per il nostro Autore l’essenza ma un’energia e quindi la più vicina descrizione alla vera immagine di Dio. In tale quadro, la teologia in Losskij è atta a esprimere – come scrive Aristotle Papanikolaou – il «realismo dell’unione divino-umana», unione che è la vera «mistica», che avviene nell’incarnazione tramite le energie divine, che rivela Dio come Trinità e che realizza l’uomo nel suo essere a immagine di Dio.
Vengo così al terzo aspetto, quello del personalismo. La nozione di persona è ravvisata da Losskij nel mistero trinitario ma proprio per questo è indefinibile. Essendo costituito il mistero della Trinità dalla persona, ogni ontologia è da questa contenuta e pertanto la sua realtà – della persona – costituisce una «metaontologia». Ebbene, l’uomo a immagine di Dio condivide nella sua personeità la nota di metaontologicità, pertanto quel che si può dire della persona è che è «l’irriducibilità dell’uomo alla sua natura». La persona comprende certamente in sé proprietà naturali, comuni ad altri uomini, ma possedute in modo assolutamente unico; col peccato essa si chiude nei limiti della sua natura – una natura che si individualizza, si scinde nei vari esseri – e così cede ai suoi impulsi. La redenzione consiste proprio nel portare a unità la natura e la persona. È qui che Losskij presenta il suo insegnamento della doppia economia di Cristo e dello Spirito Santo, uno degli aspetti più originali e discussi della sua teologia, sia per la singolare duplicità economica che egli ravvisa sia per – come possiamo concludere da Nikolaos Loudovikos – una debole connessione con la dottrina delle energie. Cristo riunisce nella sua natura umana le nature degli uomini, lo Spirito Santo realizza la distinzione delle persone in tale unità di natura. Ed è proprio questa la theosis: la realizzazione, in Cristo per lo Spirito Santo, della persona come unicità irripetibile nell’unità di un’unica natura. In tale realtà divino-umana trova attuazione la persona umana la cui immagine di Dio risiede nell’essere personale, non in un “qualcosa” – come osserva Norman Russell – ma nella relazione che costituisce la persona. Ebbene tale realtà divino-umana è la Chiesa, luogo della de-individualizzazione, del passaggio dalla coscienza individuale alla coscienza personale. Ora, la Chiesa non è se non è ipostatizzata. Come osserva Basilio Petrà, essa è per Losskij sì un soggetto di coscienza ma non un soggetto sovrapersonale ontologicamente identificabile: è quel modo di porsi della coscienza personale che, liberata dalle limitazioni individuali, può parlare come Chiesa.
Sono queste presenti brevi riflessioni, come detto sopra, un piccolo ma riconoscente tributo verso un teologo che ha posto al centro della riflessione ortodossa contemporanea temi di grande interesse come quelli passati in rassegna: il ricorso rigoroso ma creativo ai Padri greci, eredità e promessa tanto dell’Occidente che dell’Oriente; l’approccio apofatico della teologia che si attesta e focalizza sull’esperienza unitiva divino-umana che porta al superamento di una conoscenza non mistica, non trasfigurante ma intellettualistica e individualistica sul modello dell’adaequatio e che non arriva al carattere esistenziale-soteriologico del dogma; e, infine, l’idea di persona nel suo carattere ecclesiale che trova nell’economia divina la possibilità della realizzazione della sua verità, e che tanto ha influenzato e provocato la riflessione di grandi pensatori come Christos Yannaras, Ioannis Zizioulas e – si spera – altri ancora di una nuova generazione.