di Dario Chiapetti • Inquadrare nello spazio e nel tempo i processi di qualsivoglia soggetto storico favorisce quella comprensione che permette di individuare prospettive di sviluppo future. Ogni pensiero non abbastanza consapevole del proprio essere situato nelle coordinate spazio-temporali, e del contenuto di tale consapevolezza, non sarà mai possessore di quella sufficiente dimensione critica e auto-critica tale da favorire il superamento di eventuali momenti di difficoltà. Ebbene, l’importanza del pensiero e dello sguardo alla storia chiedono, nel caso specifico della Chiesa, una riflessione sul percorso storico della teologia. È quanto è andato rilevando e trattando per quanto riguarda, nello specifico, la teologia ortodossa russa Ilarion Alfeev (Mosca 1966), metropolita di Volokolamsk e presidente del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, alcune delle cui riflessioni sono raccolte e presentate al pubblico di lingua italiana in Cammino di luce. Teologia spirituale ortodossa (a cura di Adalberto Mainardi, Qiqajon, 2018, pp. 303). Se poi aggiungiamo che il percorso di una chiesa è indissolubilmente legato a quello di un’altra – proprio come lo stesso Ilarion mostra – tali riflessioni urgono e interessano non poco anche la chiesa cattolica romana.
Ilarion ripercorre per capi principali la complessa storia russa dell’ultimo secolo mettendo in luce lo stretto intreccio tra politica, fenomeni sociali e chiesa. Fino alle soglie della rivoluzione del 1917, la chiesa occupava una posizione privilegiata nella società ma, in tale quadro, lo studio della teologia, che pur era fortemente promosso, veniva effettuato unicamente su manuali improntati sul modello della teologia scolastica, lasciando così intravedere quei segni di allontanamento dalla tradizione orientale che portarono Georgij Florovskij a parlare di fase della «cattività occidentale». La chiesa partorì però il promettente evento ecclesiale del Concilio di Mosca (1917-18) con le importanti decisioni che in esso furono prese per la vita della chiesa, come quelle riguardo ai tribunali ecclesiastici, le parrocchie, l’istruzione teologica, ecc. La rivoluzione però trovò la chiesa impotente a far fronte all’ateismo imperante e quest’ultima mise da parte il progetto della sua ristrutturazione interna e imboccò la strada della «lealtà» all’Unione Sovietica nonostante la sua feroce politica anti-ecclesiale (i seminari furono chiusi, le chiese distrutte o adibite ad altri usi, molti costretti ad emigrare). Ciò ebbe gravose conseguenze sull’assetto ecclesiale se si pensa alla parte dell’episcopato della diaspora, quello sotto la guida del metropolita Antonij Chrapovickij, che si separò da Mosca e che solo nel 2007 con essa si riunì.
Tra gli emigrati vi furono anche molti intellettuali. Alcuni teologi si trovarono a svolgere la loro attività a Parigi, presso l’istituto Saint Serge. La cosiddetta scuola di Parigi è stata per la teologia ortodossa – e non – una realtà unica per la sua importanza. In tale situazione, il genio teologico, l’urgenza di radicarsi più profondamente nelle fonti dell’ortodossia – i Padri -, e l’incontro con il pensiero occidentale, hanno portato alla luce le intuizioni e le produzioni teologiche più originali e di valore della teologia ortodossa russa moderna capace di un’esplorazione a tutto campo, secondo più indirizzi. Ilarion ne individua cinque: il primo, è quello che ha come suo centro la rinascita della patristica e che fa capo a Kiprian Kern, al già ricordato Florovskij, a Vladimir Losskij, a Ioann Meyendorff, ecc; il secondo, è quello che si fonda sulla ripresa del pensiero russo di Vladimir Solov’ev e Pavel Florenskij coniugata con la riscoperta dei Padri e l’idealismo tedesco e che ha Sergeij Bulgakov come suo maggiore rappresentante; il terzo, è quello portato avanti da teologi come Nikolaj Afanas’ev e Alexander Schmemann, e ha dato avvio alla rinascita della teologia a partire da una dogmatica che emerge dal profondo dello spirito liturgico; il quarto, è quello caratterizzato dal rinnovato interesse per la storia e la letteratura, con pensatori quali Georgij Fedotov, Nikolaj Zernov, ecc; il quinto, infine, è quello della ripresa del pensiero filosofico-religioso russo, con Nikolaj Losskij, Semen Frank, ecc.
Un aspetto centrale di questa rinascita teologica è certo quella che Florovskij ha denominato «sintesi neo-patristica». Essa non consiste nel ritorno alla lettera dei Padri per trovare in un lontano passato una qualche Tradizione da riportare in auge ma innanzitutto l’ispirazione creativa, l’esempio di coraggio e di saggezza che hanno portato i Padri a quella sintesi cristiana nata dall’incontro fecondo con le altre culture, che anche oggi è chiamata a realizzarsi e di cui tanta sete ha l’epoca contemporanea. Ebbene, tale nuova sintesi, se non è un sistema onnicomprensivo di dottrine, è – sempre con Florovskij – una «mente resa ecclesiale», comunionale, che dà vita a un «pensiero ecclesiale» contro ogni individualismo e riduzionismo antropologico e, in definitiva, teologico. Se dei Padri si vuole recuperare lo spirito di apertura intellettuale e non la lettera, le istanze del pensiero attuale possono essere vagliate e opportunamente accolte: «l’esistenzialismo – scrive Ilarion – può essere assunto dal pensiero ecclesiale, come nel III-IV secolo i padri greci “cristianizzarono” la filosofia antica». Ciò vuol dire che la teologia deve tornare a mettersi in ascolto degli interrogativi dell’uomo di oggi e a darvi risposte ma, come nel caso dell’esistenzialismo, non – attenzione – interpretando i Padri alla luce dell’esistenzialismo (operazione quanto meno assai rischiosa) ma interpretando l’esistenzialismo alla luce dei Padri. È questo un approccio che chiede uno studio dei testi che sia, oltre che creativo, anche scientifico-contestuale in quanto – sostiene Ilarion – i Padri rappresentano un “corpo” che deve superare gli stretti confini di spazio, di tempo e, perfino, dogmatici: quanto allo spazio, l’invito è quello di scoprire i Padri meno studiati, quelli siricaci, copti, ecc.; quanto al tempo, egli osserva che ogni epoca deve essere epoca di Padri, «non meno patristica delle altre» (e come gli esempi dei “ritardatari” Gregorio Palamas o Nicola Cabasilas o Tommaso d’Aquino dimostrano); quanto al dogma, l’Autore invita a collocarsi nella prospettiva ermeneutica e teologica che porta a riconoscere, da un lato, l’importante “essenziale” su cui tutte le dottrine dei Padri concordano e, dall’altro, a sentire la legittimità della lettura del valore teologico di tutti quegli altri aspetti su cui tali dottrine differiscono.
Venendo al passato recente e all’oggi, Ilarion ricorda come dopo la seconda guerra mondiale furono riaperte le accademie teologiche a Mosca e a Leningrado ma con l’unica finalità di portare all’ordinazione preti per colmare i posti vacanti, senza alcun contatto intellettuale con l’occidente e in una tale situazione la teologia non ha prodotto alcun impulso di rinnovamento né ha inciso minimamente nella situazione sociale. Ma alla fine degli anni ‘80, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia e la chiesa hanno vissuto un momento di rifioritura. La chiesa ha avviato un processo di ricostituzione degli assetti parrocchiali, diocesani, nonché della vita monastica e degli istituti teologici nei quali sono stati coinvolti anche laici e professori universitari.
Oggi la teologia ortodossa vive una fase promettente. È per tale motivo che Ilarion espone gli aspetti programmatici che, a suo parere personale di teologo, sono da attuare. I testi patristici sono stati editati in occidente (Sources Chrétiennes, Corpus Christianorum, ecc.) e sono a disposizione dei teologi russi, ma occorre avviare le traduzioni in russo e gli studi approfonditi dei Padri perlopiù sconosciuti; il pensiero dei teologi della diaspora deve essere ancora in gran parte compreso, le opere di questi pensatori non sono studiate in modo sistematico e, ad esempio, «la critica della “sofiologia” bulgakoviana […] è ben lontana dall’aver esaurito l’argomento»; sul fronte della liturgia, occorre avviare un’interpretazione propriamente teologica della tradizione liturgica che superi il ritualismo; l’uso e lo studio della Scrittura necessitano ancora di quella matura ricezione dell’acquisizione, tutta occidentale, dei metodi storico-critici; la riflessione sull’aspetto ecumenico della Rivelazione e della teologia – che può trovare nei Padri quell’eredità comune delle chiese e così quel terreno d’incontro tra di esse – in ordine alla testimonianza e missione cristiane nel mondo, ha molto da essere portata avanti e necessita, e auspica, una conoscenza maggiore delle chiese tra loro; infine, e soprattutto, occorre puntare sulla formazione di una nuova generazione di studiosi ortodossi – e un relativo cambiamento della pastorale verso i candidati al ministero – che, nella collaborazione tra loro, possano portare avanti quella creatività teologica, eredità dei loro – dei nostri – Padri.