di Mario Alexis Portella • L’8 luglio 2018 nella città di Asmara, capitale dell’Eritrea, è avvenuto un “miracolo”: la fine di una ventennale violenta e sanguinosa guerra tra Eritrea ed Etiopia. Per iniziativa del nuovo Primo Ministro etiope Abiy Ahmed si è tenuto un incontro per risolvere le complicate relazioni tra i due paesi, ufficialmente in guerra dal 1998. Il clima di ritrovata amicizia e la volontà ferma di pacificazione si sono manifestati sin dall’abbraccio all’aeroporto di Asmara tra Ahmed ed il dittatore eritreo Isaias Afwerki e nell’affermazione solenne del leader etiope: << L’inimicizia si conclude con questa generazione: che inizi l’era dell’amore e della riconciliazione >>.
La guerra era scoppiata a seguito dell’annessione unilaterale dell’Eritrea all’Etiopia – sotto il regno di Haile Selassié – per giungere a conclusione nel 1991 con la vittoria eritrea e la proclamazione dell’indipendenza nel 1993. Il conflitto tra le due nazioni si riaprì tra il 1998 e il 2000 per questioni relative alla definizione dei confini a caro prezzo di vite umane: oltre 70.000 morti ad operazioni belliche terminate. Formalmente il conflitto poteva dirsi concluso con la firma dell’accordo di pace di Algeri, il 12 dicembre del 2000, che sanciva l’istituzione di una commissione il cui compito era di stabilire definitivamente i confini tra i due Paesi. Tuttavia le tensioni s’aggravarono nel marzo 2012 quanto le forze armate etiopi lanciarono un assalto ad alcune postazioni in territorio eritreo, come reazione al presunto addestramento in Eritrea di “gruppi sovversivi” che avrebbero dovuto effettuare attacchi contro Etiopia.
Nella consapevolezza che molte sfide dovranno essere affrontate – radicate ostilità etniche e miseria, ad esempio – non si può negare che si siano aperte promettenti prospettive di collaborazione tese a favorire lo sviluppo sociale ed economico, ed anche la libertà per le Chiese Cattolica e Ortodosse di ambo i Paesi che molto hanno sofferto. Indubbiamente restano vari problemi di natura giuridica che abbisognano di un effettivo chiarimento, specie da parte dell’eritreo Isaias che continua in un atteggiamento di ambiguità riguardo alle clausole dell’accordo. Né minori sono le difficoltà che deve superare l’etiope Ahmed il quale, per le sue aperture, ha già subito un attentato a cui è riuscito a sfuggire. Esponente degli Oromo all’interno del Fronte Democratico Rivoluzionario Etiope (la coalizione di forze al potere dal 1991, anno della deposizione del dittatore comunista Menghistu) ha stretto un patto con i rivali tigrini. Di lui non va passata sotto silenzio la lezione appresa dai genitori, musulmano il padre e convertita al cristianesimo la madre, che egli si sforza di porre in essere: è possibile la concordia tra persone di diversa ideologia e religione soltanto nel pieno rispetto reciproco.
Comunque, come racconta il sacerdote Mussie Zerai dell’Eparchia di Asmara, Ahmed si sta adoprando con energia per raggiungere una pace << che non sia solo tra questi due paesi ma che coinvolga anche altri stati vicini, come Sudan, Gibuti e Somalia, quindi in tutto il Corno d’Africa >>. In questa prospettiva una pace duratura e diffusa può diventare << un esempio per tutto il continente perché ad oggi ci sono più di venti conflitti, latenti e non, diffusi in tutta l’Africa >>.