di Carlo Parenti • Sintetizzo con le parole degli autori quanto nell’ultimo numero (4035) de «La Civiltà Cattolica» padre Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa scrivono sulla «Teologia della prosperità»: questo è il nome più descrittivo di una corrente teologica neo-pentecostale evangelica (molto distante dagli insegnamenti di una vita di conversione propria dei movimenti evangelici e delle Chiese carismatiche tradizionali). Il nucleo di questa «teologia» è la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, e cioè che siano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Questo tipo di cristianesimo colloca il benessere del credente al centro della preghiera, e fa del suo Creatore colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri. Il rischio di questa forma di antropocentrismo religioso, che mette al centro l’uomo e il suo benessere, è quello di trasformare Dio in un potere al nostro servizio, la Chiesa in un supermercato della fede, e la religione in un fenomeno utilitaristico ed eminentemente sensazionalistico e pragmatico. Questa immagine di prosperità e benessere fa riferimento al cosiddetto American dream, al «sogno americano». Non si identifica con esso, ma con una sua interpretazione riduttiva. L’opulenza e il benessere sarebbero il vero segno della predilezione divina da «conquistare» magicamente con la fede. Questa «teologia» è stata diffusa – grazie anche a gigantesche campagne mediatiche in tutto il mondo per decenni da movimenti e ministri evangelici, specialmente neo-carismatici. Oltre agli USA è assai presente in Africa e in Asia e si affaccia in Cina. Papa Francesco è intervenuto più volte per indicare i pericoli di questa teologia che, come è stato detto, «oscura il Vangelo di Cristo»
Il pastore newyorchese Esek William Kenyon (1867-1948) -che si considera l’ispiratore originario di questa teologia- sosteneva che attraverso il potere della fede si possono modificare le concrete realtà materiali. Diretta conclusione è che la fede può condurre alla ricchezza, alla salute e al benessere, mentre la mancanza di fede porta alla povertà, alla malattia e all’infelicità. Questa teoria si collega in certo senso alla «posizione eccezionale» che Alexis de Tocqueville nel suo celebre La democrazia in America (1831) attribuiva agli americani, a tal punto che si possa «ritenere che nessun popolo democratico verrà mai a trovarsi in una posizione simile» alla loro. Tocqueville arriva ad affermare che tale way of life plasma anche la religione degli americani.
A volte le stesse autorità americane certificano questo legame. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione, del 30 gennaio 2018, il presidente Donald Trump, per descrivere l’identità del Paese, ha affermato: «Insieme, stiamo riscoprendo il ‘modo americano di vivere’». E ha proseguito: «In America, sappiamo che la fede e la famiglia, non il governo e la burocrazia, sono il centro della vita americana. Il motto è: ‘Confidiamo in Dio’ ( In God we trust). E celebriamo le nostre convinzioni, la nostra polizia, i nostri militari e veterani come eroi che meritano il nostro sostegno totale e costante». Nel giro di alcune frasi appaiono dunque Dio, l’esercito e il sogno americano. Nella cerimonia d’inaugurazione del mandato presidenziale di Donald Trump includeva preghiere di predicatori del «vangelo della prosperità». I pilastri del «vangelo della prosperità» sono sostanzialmente due: il benessere economico e la salute. Questa accentuazione è frutto di un’esegesi letteralista di alcuni testi biblici che sono utilizzati all’interno di un’ermeneutica riduzionista. Lo Spirito Santo viene limitato a un potere posto al servizio del benessere individuale. Gesù Cristo ha abbandonato il suo ruolo di Signore per trasformarsi in un debitore di ciascuna delle sue parole. Il Padre è ridotto «a una specie di fattorino cosmico (cosmic bellhop) che si occupa dei bisogni e dei desideri delle sue creature». Ovviamente, eventi luttuosi o disastri, anche naturali, o tragedie, come quelle dei migranti o altre simili, non forniscono narrative vincenti funzionali a mantenere i fedeli legati al pensiero del «vangelo della prosperità». Questo è il motivo per cui in questi casi si nota una totale mancanza di empatia e di solidarietà da parte degli aderenti. Non c’è compassione per le persone che non sono prospere, perché chiaramente esse non hanno seguito le «regole», e quindi vivono nel fallimento e non sono amate, dunque, da Dio. In alcune società in cui la meritocrazia è stata fatta coincidere con il livello socio-economico senza che si tenga conto delle enormi differenze di opportunità, questo «vangelo», che mette l’accento sulla fede come «merito» per ascendere nella scala sociale, risulta ingiusto e radicalmente antievangelico.
Questa teologia è chiaramente funzionale ai concetti filosofico-politico-economici di un modello di taglio neoliberista. Essa conduce alla conclusione che gli Stati Uniti sono cresciuti sotto la benedizione del Dio provvidente del movimento evangelico. Invece, gli abitanti a sud degli USA sono sprofondati nella povertà proprio perché la Chiesa cattolica ha una visione differente, opposta, «esaltando» la povertà. Uno dei gravi problemi che porta con sé la «teologia della prosperità» è il suo effetto perverso sulla gente povera. Infatti, essa non solo esaspera l’individualismo e abbatte il senso di solidarietà, ma spinge le persone ad avere un atteggiamento miracolistico, per cui solamente la fede può procurare la prosperità, e non l’impegno sociale e politico. Quindi il rischio è che i poveri che restano affascinati da questo pseudo vangelo rimangano imbrigliati in un vuoto politico-sociale che consente con facilità ad altre forze di plasmare il loro mondo, rendendoli innocui e senza difese. Il «vangelo della prosperità» non è mai fattore di reale cambiamento, che invece è fondamentale nella visione che è propria della dottrina sociale della Chiesa.
Francesco ha sempre avuto presente il «vangelo diverso» della «teologia della prosperità» e, criticandolo, ha applicato la classica dottrina sociale della Chiesa. Più volte lo ha richiamato per porne in evidenza i pericoli. Il «vangelo della prosperità» è molto lontano dall’invito di san Paolo che leggiamo nel brano di 2 Cor 8,9-15: «Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (v. 9). La «teologia della prosperità» è lontana dal «sogno missionario» dei pionieri americani, e ancor più dal messaggio di predicatori come Martin Luther King e dal contenuto sociale, inclusivo e rivoluzionario del suo memorabile discorso «Io ho un sogno».
1 Per il testo integrale: https://www.laciviltacattolica.it/articolo/teologia-della-prosperita-il-pericolo-di-un-vangelo-diverso/