Montini, la FUCI, l’Italia

250 367 Francesco Vermigli
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IMG_7281 (1)di Francesco Vermigli • Vi sono stagioni della vita di un uomo che paiono marcarlo a fuoco, come poche altre. Esperienze memorabili e svolte inaspettate che segnano la vita futura, plasmano gli atteggiamenti e animano gli slanci ideali. Per la biografia di colui che salirà al soglio di Pietro con il nome di Paolo VI – e che tra poche settimane (il prossimo 14 ottobre) verrà canonizzato da papa Francesco – questo sembra esser vero per il servizio svolto come assistente ecclesiastico nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Nato nel 1897, nel 1925 a soli 28 anni ricevette da papa Pio XI l’incarico di assistente generale dopo esserlo stato brevemente del gruppo universitario di Roma. Lascerà tale compito nel 1933 quando fu chiamato a collaborare alla Segreteria di Stato dal nuovo Segretario Eugenio Pacelli, in seguito papa Pio XII. Obiettivo di queste brevi righe non sarà tracciare nel dettaglio la storia di Giovanni Battista Montini e della FUCI di quegli anni: vorremmo semplicemente suscitare in chi legge il senso di quale ruolo cruciale rivestì tale periodo nella vita del futuro Paolo VI.

Gli anni che videro Montini assistente generale della FUCI sono gli anni del progressivo radicamento del movimento fascista nella società italiana. Se consideriamo i Patti Lateranensi come l’inizio dell’allargamento del consenso del fascismo in Italia – per usare le categorie del De Felice autore della monumentale biografia di Mussolini – l’assistentato di Montini si pone esattamente a cavallo di quel cruciale 1929. Il contatto con i giovani universitari cattolici, l’ascolto delle loro aspirazioni più trepidanti, lo scontro ideale con la montante propaganda fascista furono per il giovane prete bresciano una palestra di vita e di pensiero. Riteniamo che tutto questo si possa come addensare attorno a due parole chiave: formazione e responsabilità.

Nel 1930, l’anno successivo ai Patti, usciva alle stampe un libretto densissimo per contenuto e ricercato nello stile, un’opera che può a buon diritto esser considerata il frutto più meditato e pensoso di quegli anni: Coscienza universitaria. Lo studio, la formazione, l’impegno nella vita universitaria diventano agli occhi del futuro papa banco di prova per i giovani cattolici. Contro la frantumazione del sapere accademico, contro il depauperamento delle energie spirituali e contro il rischio di una scienza tronfia (giacché scientia inflat, caritas vero aedificat: 1 Cor 8,1), Montini risponde circa la necessità della riconduzione dell’intero sapere ad un principio unitario e invita alla coerenza dello studio con la vita morale. “Coscienza universitaria”, appunto: dove studio ed etica non si separano, ma si richiamano a vicenda, si nutrono, si edificano reciprocamente.

Questa attenzione al tema etico richiama l’altra parola chiave che abbiamo proposto accanto a formazione: la parola responsabilità. Una responsabilità innanzitutto nei confronti della propria coscienza, ad un tempo formata cristianamente e laicamente; una responsabilità quindi verso il proprio Paese, quel Paese che in quegli anni pareva caduto definitivamente nelle mani del fascismo. La formazione intesa nei termini espressi in Coscienza universitaria è una formazione all’impegno sociale e politico e all’entrata consapevole del cattolico nella vita del proprio Paese: in breve nello studio inteso secondo il modo proposto da Montini si misura la capacità di stare nel mondo per il bene comune e per la crescita della famiglia umana.

Come si diceva sopra, gli anni di Montini da assistente generale della FUCI possono essere letti come gli anni in cui si plasmò una sollecitudine tutta particolare per l’Italia, che egli manifesterà vieppiù nel periodo alla Segreteria di Stato, a Milano e soprattutto come papa. Vale a dire che negli anni ’20 e ’30 si forgiarono quelle preoccupazioni che Montini espliciterà nel corso dei quindici anni del suo pontificato; fino alle vicende drammatiche del rapimento e della successiva morte di Aldo Moro, che dalla medesima esperienza fucina aveva tratto criteri di ispirazione per la propria agenda politica.

Le parole che trascriviamo qui di seguito ci paiono condensare l’affetto per l’Italia coltivato fin dagli anni degli incontri all’università e della ricerca del bene spirituale e intellettuale degli studenti: «Vogliamo bene, un bene tutto spirituale, tutto pastorale, oltre che naturale, a questo magnifico e travagliato Paese; né dimentichiamo i secoli durante i quali il papato ha vissuto la sua storia, difeso i suoi confini, custodito il suo patrimonio culturale e spirituale, educato a civiltà, a gentilezza, a virtù morale e sociale le sue generazioni, associazione alla propria missione universale la sua coscienza romana e i suoi figli migliori». Sono le parole di un papa che nella visita al Quirinale del 1964 mostra come l’amore per l’Italia sia diventato ora la sollecitudine di colui che ha la cura pastorale e spirituale per un intero Paese. Sono le parole che riecheggiano dell’antico zelo per la formazione e per il senso di responsabilità dei giovani universitari cattolici.

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Francesco Vermigli

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