di Stefano Tarocchi • «Molta gente nel mondo occidentale, assai istruita, fra cui molti sinceri non credenti, spesso solleva domande sulla realtà storica del Gesù annunciato dalla Chiesa… Non impegnarsi con questi seri ricercatori in campo storico a livello accademico sarebbe venire meno a un nostro dovere nei loro confronti, e lascerebbe molti cattolici istruiti a interrogarsi sui fondamenti storici della loro fede». Così si è espresso recentemente lo studioso americano john Paul Meier, l’autore della nutrita serie di saggi pubblicati in Italia con il titolo Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico.
C’è il rischio di evidenziare la tendenza a ridurre o trasformare Gesù in un simbolo mitico o in un archetipo senza tempo. Al fine di difendere la divinità di Cristo c’è il pericolo di oscurare o trascurare la vera e piena umanità di Cristo, compresa la sua appartenenza all’ebraismo.
Ora sappiamo che i vangeli non sono nati in provetta: tutti gli scritti che portano questo nome, perfino i vangeli apocrifi, lasciano trapelare un rapporto con l’oggetto a cui si riferiscono: Gesù Cristo. Di conseguenza, possiamo affermare che «ciò che oggi si possiede sono i ricordi dei primi discepoli, non Gesù stesso ma Gesù ricordato» (Dunn). E ciò non è un punto di scarso rilievo.
Questo non significa che debbano esserci differenze, come una certa ricerca presuppone, tra il «Gesù della storia» e il «Cristo della fede» (altri preferiscono dire: «Gesù della fede»).
Non è infatti privo di significato che quel termine che in breve trattiene il senso della predicazione cristiana, («Vangelo»), a partire dallo stesso esordio del vangelo di Marco, e addirittura dalle prime parole che tale vangelo pone sulle labbra di Gesù («dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo»), assume il suo senso definitivo nei quattro libretti di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, i quattro vangeli canonici.
Prima ancora che essere un libro e della stessa predicazione di Gesù, il Vangelo è lui medesimo, ed è in lui che si genera il movimento che dai suoi discepoli condurrà a predicare di lui e quindi a scrivere di lui.
Così per Gesù Cristo, le cui notizie storiche difficilmente hanno un riscontro serio al di là dei quattro libri di Matteo, Marco e Luca e Giovanni. E ciò è realmente gravido di conseguenze. Questo elemento è talmente importante che ancora il Meier «il lettore che volesse conoscere il Gesù reale dovrebbe chiudere questo libro immediatamente perché il Gesù storico non è il Gesù reale né la facile via che a lui conduce. Il Gesù reale non è accessibile e non lo sarà mai».
Si può aggiungere che fra gli altri personaggi dell’antichità, ad esempio Gesù e Simon Pietro, per noi oggi sono semplicemente non accessibili con la ricerca storica né mai lo saranno. Significativamente si evidenzia la situazione paradossale di Paolo di Tarso e di Ignazio di Antiochia, perché nelle lettere che hanno lasciato – rispettivamente, le tredici lettere del canone neotestamentario attribuite a Paolo (le sette lettere autentiche e le sei pseudoepigrafe, secondo la gran parte degli studiosi), e le sette lettere che sono attribuite al martire originario di Antiochia (Efesini, Magnesi, Tralliani, Filadelfiesi, Romani, Smirnesi, Policarpo) – sono più accessibili allo storico moderno più che Gesù stesso e l’apostolo Pietro.
Perciò fuori discussione che qualunque ricerca su Gesù non possa prescindere dai Vangeli. Tutte le fonti esterne, a cominciare da quelle conservateci negli scritti del Nuovo Testamento, fino a quelle extrabibliche, come quelle riferite dagli storici dell’antichità (ad esempio Svetonio, Tacito), non ci trasmettono se non elementi assai scarsi, o totalmente esterni a quella vicenda che in una qualche maniera, sicuramente mediata dalla testimonianza dei primi discepoli, quelli che – sono le parole che Pietro pronuncia a Cesarea nella casa del centurione Cornelio – sono «i testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio».
Non va trascurato poi che «è stata la fede ad assicurare Gesù alla storia, dato che nessuno che non fosse stato suo discepolo si interessò minimamente a lui e tantomeno a tramandarne la memoria». Anche «il fatto dell’anonimato dei Vangeli è molto importante: l’autore si nasconde dietro la figura di Gesù, protagonista del racconto, oltre che dietro la rispettiva comunità cristiana, di cui si fa porta parola» … «è come se contasse soltanto l’immagine di Gesù che essi trasmettono» (Penna).