di Leonardo Salutati • Il 16 ottobre scorso Papa Francesco è intervenuto con un suo discorso alla Fao, l’organizzazione internazionale dell’ONU per il cibo e l’agricoltura, riproponendo, una serie di considerazioni che già Papa Benedetto XVI aveva rivolto all’organizzazione internazionale il 16 Novembre del 2009. Purtroppo dobbiamo registrare che, a distanza di 8 anni, poco è cambiato riguardo alle cause strutturali che ancora oggi impediscono a milioni di persone di poter accedere ad una alimentazione “a misura dei propri bisogni” e che i richiami del Magistero Pontificio sono rimasti inascoltati.
Infatti se Benedetto ricordava che «la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti» (2009), Francesco rimarca che la scienza e la tecnica rivelano «una capacità crescente di dare risposte alle attese della famiglia umana», che «stime recenti prevedono un rialzo della produzione globale di cereali» ma che, tuttavia, tali opportunità «non di rado vengono lasciate in balìa della speculazione», favorendo gli sprechi e le migrazioni di coloro «che cercano un futuro fuori dai loro territori di origine», concordando con Benedetto che manca «un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato» nonché «la persistenza di modelli alimentari orientati al solo consumo e… soprattutto l’egoismo, che consente alla speculazione di entrare persino nei mercati dei cereali, per cui il cibo viene considerato alla stregua di tutte le altre merci (2009).
Già 8 anni fa Benedetto denunciava l’urgenza di una «attenta analisi del rapporto tra lo sviluppo e la tutela ambientale», troppo spesso inquinato dal «desiderio di possedere e di usare in maniera eccessiva e disordinata le risorse del pianeta», richiamando anche alla responsabilità dell’umanità intera «verso le generazioni che verranno» e riguardo al «dovere di tutelare l’ambiente come bene collettivo» (2009). Nel frattempo, da allora ad oggi, c’è stata l’enciclica Laudato si’ di Francesco che ha approfondito esaurientemente le tematiche ambientali, invitando espressamente l’umanità a considerare risorse quali il clima, l’atmosfera e gli oceani come «beni comuni globali» (LS 174), vale a dire beni il cui utilizzo richiede urgentemente una adeguata regolazione giuridica internazionale, per impedirne uno sfruttamento indiscriminato, al fine di fronteggiare efficacemente «il preoccupante fenomeno dei cambiamenti climatici» (2009).
E se Benedetto ricordava che per eliminare realmente la fame «l’azione internazionale è chiamata non solo a favorire la crescita economica equilibrata e sostenibile e la stabilità politica, ma anche a ricercare nuovi parametri – necessariamente etici e poi giuridici ed economici – ingrado di ispirare l’attività di cooperazione per costruire un rapporto paritario tra Paesi che si trovano in un differente grado di sviluppo» (2009), Francesco riprende e arricchisce il discorso rivolgendo una domanda alla Comunità Internazionale: «è troppo pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia?» Parole queste che esprimono il contenuto pratico del termine “umanitario” tanto in uso nell’attività internazionale e che sollecitano la diplomazia e le Istituzioni multilaterali ad alimentare e organizzare «questa capacità di amare, perché è la via maestra che garantisce non solo la sicurezza alimentare, ma la sicurezza umana nella sua globalità». Amare i fratelli e farlo per primi è un principio evangelico che trova riscontro in tante culture e religioni che dovrebbe diventare principio di umanità nel linguaggio delle relazioni internazionali.
Come facevano i profeti dell’Antico Testamento, i richiami dei due Pontefici così simili, seppure espressi con lo stile tipico di ognuno dei due, offrono una lettura della realtà alla luce del disegno di Dio sull’umanità e vogliono sollecitare la Comunità Internazionale a prendere coscienza che la piaga della fame non è un fenomeno ineluttabile e a non contentarsi dei lenti progressi pur ottenuti, perché è presente in ogni uomo quel «supplemento di condivisione fraterna e di amore… quel supplemento di carità… capace di condividere… che non si accontenta dell’aiuto estemporaneo… ma che si mette in gioco… che si fa carico del disagio e della sofferenza del fratello» (Papa Francesco, Angelus, gennaio 2014), che ha bisogno di essere liberato per donare alla vita dell’umanità un sapore divino!