di Francesco Vermigli • Può esistere una “paterologia”? Può esistere, cioè, una disciplina che abbia come oggetto specifico della propria indagine la persona eterna del Padre? Fin dalla stagione della grande sistemazione manualistica, nel panorama complessivo delle discipline teologiche alcune di esse si sono indirizzate in maniera immediata al mistero di Dio. Quando la teologia si volge alla realtà dell’unico Dio sovrabbondante di vitalità e di reciproca immanenza tra le persone divine, è teologia trinitaria; quando si pone davanti al mistero grandioso della persona del Figlio incarnato per la nostra salvezza, è cristologia e soteriologia; quando si dedica alla terza persona della Trinità, comunicazione d’amore tra le persone divine e in favore dell’uomo, è pneumatologia. Ma non esiste una disciplina che si interessi in maniera specifica alla persona del Padre.
Le considerazioni che seguono, sorgono dalla lettura di un libro uscito recentemente, che fin dal titolo svela l’obbiettivo cui tende: Mario Bracci, Paterologia. Per una teologia del Padre, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo, 2017, pp. 203. Le suggestioni che proviamo a far emergere in questo articolo, sono dunque debitrici di tale libro; per quanto queste poche righe non abbiano la pretesa di presentarsi come una recensione dettagliata e stringente di quello. Se ci accostiamo alla teologia degli ultimi anni, a ben vedere Bracci non è il solo ad essersi posto la questione se sia possibile una teologia del Padre. È lui stesso a rendercene edotti: basti in questa sede richiamare i nomi di Stock e Galot e, in obliquo – cioè senza che egli rechi la parola “paterologia” o affini, ma mantenendo decisamente l’obbiettivo della propria indagine sulla persona del Padre – il nome del redentorista Durrwell.
Ma, sia detto a presupposto di ogni ulteriore avanzamento del nostro argomentare: una disciplina che voglia dedicarsi alla persona del Padre, deve essere in grado di mostrare che non è sufficiente parlare del Padre entro le altre discipline, ma che sia opportuno e auspicabile mettere a tema in maniera distinta la prima persona della Trinità. C’è in effetti un altro punto che deve essere messo ben in evidenza: che c’è una differenza sostanziale tra la cristologia e la pneumatologia da una parte e un’eventuale paterologia dall’altra; dal momento che le prime nascono dal fatto storico-salvifico dell’invio della persona del Figlio e di quella dello Spirito, mentre la seconda si rivolgerebbe ad una persona che è bensì all’origine dell’invio delle altre due, ma che resta nella trascendenza dall’eternità e per l’eternità. La richiesta che facciamo ad un’ipotetica paterologia, di mostrare l’opportunità della propria esistenza, è dunque il riflesso di una realtà ancora più profonda: il fatto, cioè, che se sappiamo che Dio è Padre, questo lo dobbiamo alla rivelazione delle due altre persone. In modo particolare, se possiamo dire qualcosa del Padre è perché il Figlio è venuto ad attestarlo. Chiavi di volta di ogni possibile paterologia non potranno dunque che essere due versetti giovannei («Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» [Gv 1,18]; «Chi ha visto me, ha visto il Padre» [Gv 14,9]); nel primo dei due casi dovendosi intendere “Dio” con “Padre”, come la teologia ha ampiamente rilevato fin dai tempi di Rahner.
Si direbbe allora che una teologia del Padre non potrà che sorgere sullo sfondo della cristologia, perché non v’è altra possibilità di accedere alla persona del Padre se non nella persona e nella missione del Figlio. In altri termini, non esiste altra possibilità di parlare del Padre al di fuori della rivelazione (Gv 1,18; o meglio l’esegesi) o del darsi a vedere (Gv 14,9) che realizza Gesù. Tutto questo significa che è dal modo con cui il Figlio incarnato si comporta, dai gesti che compie, dalle opere che realizza e dalle parole che dice che si può comprendere come si comporta nell’eternità il Padre, perché il Figlio dice e opera secondo quello che ha visto da sempre presso il Padre: «Io dico quello che ho visto presso il Padre» (Gv 8,38).
Tuttavia – se intesa in questi termini – la paterologia potrebbe apparire ancora come una sorta di branca della cristologia. Perché si possa dare una disciplina teologica volta alla persona del Padre, essa deve riferirsi al Padre non solo come oggetto della rivelazione di Cristo, ma come soggetto della rivelazione che il Figlio incarnato compie nella storia. In altri termini, la disciplina che si chiama “paterologia” deve saper mostrare dal comportamento di Cristo l’origine della stessa sua rivelazione. Si tratta di passare dal dire di Gesù sul Padre al dirsi del Padre in Gesù: una prospettiva nuova, un punto di vista differente, un principio formale diverso che renda possibile l’esistenza di una “teologia del Padre”. Alla ricerca dei prossimi anni spetterà il compito di dare ulteriore legittimazione ad una teologia che parla direttamente del Padre, e alla conseguente risistemazione dei trattati.