di Mario Alexis Portella • Oggi assistiamo ad una apologia dell’Islam, anche da parte di uomini di stato e di ecclesiastici e, soprattutto, di giornalisti, i quali non esitano a porre sullo stesso piano l’Islam e il Cristianesimo in quanto ambedue religioni di pace. Essi, ad es., insistono maldestramente ad affermare che la recente strage ad opera dall’ISIS a Barcellona (che ha provocato tredici morti e più di un centinaio di feriti), come altri atti terroristici islamici, non rappresenta il vero Islam. Gli aggressori musulmani, invece, sostengono di agire secondo la dottrina coranica e citano il versetto: «Uccideteli [i non musulmani] ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati». (Sura 2, 191). E non è da sottacere che una gran parte di questa violenza è stata istigata nelle moschee finanziate da alcuni Stati islamici, come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia. Tutte le guerre, le incursioni ed i saccheggi che fanno parte dei millequattrocento anni di storia musulmana, suscitano una domanda: ma che cosa è l’Islam? Nonostante il suo monoteismo, a partire dalla Costituzione di Medina (622 d.C.) con cui il Profeta Maometto (570 – 632) impose la sua legislazione a credenti e non credenti, l’Islam diventò un’entità socio-politica fondata su alcuni precetti vetero-testamentari e dottrine cristiane apocrife. Per comprendere meglio ciò che il Profeta Maometto istituì, occorre approfondire due elementi: la parola “islam” stessa e l’ambiente dove l’islam nacque.
Il termine “islam” è il maṣdar, cioè un sostantivo verbale o un nome di azione che deriva dall’arabo “s-l-m (al-Silm)”: “sottomettersi” o “arrendersi”. Dunque, è “un’azione”; qualcosa che una persona fa e facendola diventa “musulmano”. Con la shahada, cioè la professione di fede: «Non c’è divinità [iddio] se non Allah e Maometto è il suo Messaggero», il musulmano si sottomette alla volontà e, dunque, alla legislazione di Allah. Proprio come fu affermato dal più importante studioso musulmano, il giurista e storico Muhammad Ibn Jarir al-Tabari (839 – 923 d.C.): il modo par excellance di sottomettersi alla legge di Allah è osservare l’esempio di Maometto.
Rispetto all’ambiente dell’Arabia del 7° sec. d.C. – specificamente la Mecca – gli arabi erano organizzati in tribú, in cui non si concepiva né si tollerava altra autorità che l’arbitrato morale del nomade (beduino) in carica. I suoi doveri includevano la difesa e la tutela della tribú, la protezione o promozione della religione e la risoluzione delle controversie. I beduini non avevano un governo centralizzato. Infatti, essi si rifiutarono di essere legati ad un sistema politico accentratore. Invece della “libertà”, esisteva una solidarietà tribale che li spingeva a guerriglie quasi permanenti fra tribú. Di conseguenza, essi non furono mai capaci di stabilire una dimora fissa e stabile. Le loro credenze religiose erano di prassi semitiche antiche non prive di aspetti superstiziosi, ad es. avevano terrore di demoni d’ogni specie, e il loro culto consisteva in riunioni intorno a pietre sacre e pellegrinaggi che potevano abbinarsi a fiere, come alla Ka’aba della Mecca.
Il Profeta ebbe il senso della Comunità (l’umma) con tutte le sue esigenze di solidarietà reciproca. Dopo aver accumulato risorse finanziarie ed un esercito a Medina, impose alcuni precetti morali ai beduini della Mecca e li costrinse ad accettare il suo governo e a lottare contro certi aspetti della società – vietati da lui – che li circondavano. Contrariamente al Cristianesimo che dice «Da’ a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio», per l’Islam “Dio” è “Cesare” e “Cesare” è “Dio”. In questo modo, il Profeta creò uno stato indissolubilmente legato alla volontà di Allah di cui lui si dichiarò capo. Perciò, il musulmano ancor oggi non può accettare un governo su questa terra che non si sia già sottomesso agli insegnamenti di Allah e del Suo Messaggero.
Dopo la morte di Maometto, i musulmani si divisero in due rami: i sunniti e gli sciiti; i sunniti sono quasi l’87% di tutti i musulmani del mondo, mentre gli sciiti sono il 10%. I successori (sunniti) del Profeta costituirono un governo centrale; gli imam (sciiti) si dedicarono più alla tutela spirituale dei suoi seguaci che alla politica. Il califfo (sunnita) – il successore del Profeta e il vicario di Allah – fu investito di tutto il potere politico-religioso. I Sunniti svilupparono l’ordinamento politico (e religioso) sulla sharia, cioè la legislazione fondata sui precetti coranici e sulle tradizioni del Profeta con lo scopo di mantenere l’umma stabile e costante: spesso, ancora oggi, per i musulmani il peccato più grave è l’apostasia, cioè la rottura tra umma e la religione. L’apostasia e il proselitismo (cristiano) sono puniti con la pena di morte negli stati islamici. Il califfato, dunque, non era altro che una continuazione di quel sistema politico accentratore istituito da Maometto. La sede di questa struttura in milletrecento anni fu spostata parecchie volte: da Medina, a Damasco, al Cairo, a Bagdhad … e finalmente a Costantinopoli dove venne soppressa da Mustafa Kemal Atatürk nel 1924. Ecco il “perché” l’ISIS oggi ha “istituito” un “califfato” e continua a massacrare gli “infedeli”.
Se oggi il califfato non esiste più, c’è l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI) al suo posto; essa è composta da 57 stati-membri, incluse la Turchia e la Palestina, con sede a Gedda: è un’organizzazione internazionale con una delegazione permanente presso l’ONU che si propone come la voce collettiva di tutti i musulmani del mondo; lo scopo è di salvaguardare e di proteggere gli interessi del mondo musulmano, cioè di galvanizzare l’umma.
È importante notare che l’Islam, pur incorporando elementi religiosi, ha sempre avuto un fondamento socio-politico mai superato. E coloro che desiderano godere dei diritti umani, secondo il Preambolo della Dichiarazione del Cairo dei Diritti Umani in Islam dell’OIC (1990), “…siccome Allah ha creato la Comunità ideale e ha dato all’umanità una civiltà universale ed equilibrata…per assicurare i diritti umani…[devono] conformarsi alla sharia”. Putroppo, la sharia è basata sulla disegualianza tra uomo e donna e tra musulmano e non-musulmano, per cui molti capi di stati islamici e la maggioranza degli imam continuano ad imporre una politica che sopprime la libertà religiosa, e allo stesso tempo, imprigiona attivisti che chiedono riforme democratiche.
Non ci si deve stupire se l’ISIS o il Taliban uccidono i cristiani ed altri che non li accolgono, o se alcuni stati appoggiano tali organizzazioni. Anche senza ricordare che il Profeta personalmente ha guidato o delegato ad altri la guida di più di nove guerre per anno dopo la sua conquista della Mecca fino alla sua morte, è sufficiente leggere il mandato di Allah: “«Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti [i non-musulmani]: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Allah e dal Suo Messaggero». Allah è severo nel castigo con chi si separa da Lui e dal Suo Messaggero”! (Sura 8, 12-13) Quindi, è un dovere degli stati islamici diffondere i precetti di Allah in tutto il mondo, in ogni nazione, anche con la spada. Resta da chiedersi come mai paesi occidentali, come l’Italia e gli Stati Uniti d’America, e i leader del mondo libero, continuino a sostenere i regimi che finanziano le suddette moschee anche con il mercato delle armi…