di Alessandro Clemenzia • “La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Così Giorgio Gaber (1972) esprimeva, con innegabile fascino, una profonda verità: la libertà non può ridursi a una semplice ricerca di spazio di movimento, ma ha a che fare con la “partecipazione”. Per evitare di ridurre il significato di questo termine esclusivamente all’ambito della vita politica, è bene prima di tutto delineare cosa si intenda per “libertà”: non è una modalità con cui un soggetto entra in relazione con la realtà (sia essa fatta di persone o di oggetti), e non può neanche essere intesa soltanto come sinonimo di “autonomia” o “autorealizzazione”, ma fa direttamente riferimento a ciò che l’uomo è. La libertà, dunque, ha una pregnanza ontologica.
È in Cristo perfectus homo e homo perfectus, tuttavia, che l’uomo trova la rivelazione piena di ciò che egli è: essendo infatti vero Dio e vero uomo, manifesta definitivamente la vita divina e la compiutezza della realtà umana. La libertà, dunque, tema specificamente antropologico, in Cristo diviene un argomento teologico. Non si tratta tuttavia di ricondurre a Dio (come origine) qualcosa che è naturalmente umano, ma di trovare nella Trinità la condizione ontologica di possibilità di ciò che caratterizza l’uomo. Tale riflessione è di indiscussa attualità (come ha messo in luce L. Paris, Teologia e neuroscienze. Una sfida possibile, Queriniana, Brescia 2017, soprattutto pp. 217-314).
Un grande contributo è offerto dal filosofo Luigi Pareyson con la sua Ontologia della libertà (Einaudi, Torino 2000). Qui la libertà è ricondotta all’evento stesso di Dio, come appare nella rivelazione del Suo nome nel libro dell’Esodo: «L’ego sum qui sum vuol dire anche “io sono chi mi pare”. Alla domanda: “Qual è il tuo nome?”, che significa fondamentalmente: “Qual è la tua essenza? Insomma: chi sei tu?”, la risposta è: “Io sono chi mi pare e tanto basti. Io sono chi voglio; io sono chi voglio essere. Io sono quel che voglio essere e voglio essere quel che sono”» (p. 129). Dio stesso, compreso come libertà originaria, decide di essere chi è: vi è piena cooriginarietà di libertà ed essere. Il contributo di Pareyson, pur avendo compreso l’essere stesso di Dio come evento di libertà, non ha collegato questo tema con le dinamiche trinitarie.
In ciò sono invece riusciti H.U. von Balthasar e P. Coda. Entrambi, per sviscerare il significato più profondo della libertà umana rivolgono il loro sguardo su Cristo, e in particolare sull’evento pasquale: culmine della manifestazione della sua relazione filiale col Padre, vissuta come evento di libertà. È attraverso Cristo che si arriva alla comprensione della libertà in Dio.
Per Balthasar la libertà divina si inserisce all’interno di quell’autodonazione di Dio, non soltanto ad extra (come si è manifestato nell’evento pasquale), ma anche “in” Dio: il Padre è Padre nel partecipare la divinità al Figlio, e dunque nel libero autodonarsi a lui; e lo stesso vale per il Figlio e per lo Spirito Santo. Ciascuno possiede Se stesso nella libera donazione di sé agli Altri: «La libertà assoluta dell’autopossesso si comprende, conformemente alla sua essenza assoluta, come un donare senza limite, a tanto essa non è determinata che da se stessa, ma determinata in modo che senza questo donare non sarebbe se stessa» (H.U. von Balthasar, Teodrammatica. Le persone del dramma: l’uomo in Dio, vol. II, Jaca Book, Milano 1992, p. 243). Se ciò che caratterizza l’essere di Dio è l’atto della donazione di Sé alle altre due Persone, allora la libertà divina (“assoluta”) si gioca all’interno di questa dinamica trinitaria.
Coda, nel suo Dalla Trinità. L’avvento di Dio tra storia e profezia (Città Nuova, Roma 2011), andando oltre al dinamismo dell’autodonazione messa in luce da Balthasar, rilegge trinitariamente il significato di libertà alla luce di quanto rivelato nell’evento pasquale, dove ogni Persona divina vive il proprio essere-Dio come evento di libertà nell’amore, in relazione alle Altre. La libertà, pur essendo una, è assunta come propria da Ognuna secondo il differente modo di relazionarsi tra loro: Ognuna, come evento di libertà, si dona alle Altre e si riceve nelle e dalle Altre. Ma in che consiste questa libertà dell’amore? Coda, alla luce di uno sguardo teologico illuminato da un’ontologia trinitaria, parla di uno stupore originario del Padre nel guardare Se stesso e accorgersi d’essere amore; Egli trova in Se stesso la gioia e lo stupore di dire “Io sono” come puro ed eterno desidero che l’altro sia: Egli è Abbà. Il Padre, nello stupore di fronte a ciò che Egli stesso è e dicendo liberamente di sì al proprio desiderio che l’altro sia, dona tutto Se stesso (come atto generativo) e l’Altro viene ad essere.
Anche il Figlio vive uno stupore originario, echeggiando quello altrettanto e ancora più originario del Padre, nel partecipare gratuitamente all’essere Dio da Dio. L’evento del venire ad essere del Figlio, nella libertà del Padre, è anch’esso un atto libero, in quanto, nell’atto stesso della sua generazione, restituisce Se stesso al Padre: in questa reciprocità di libertà il Figlio ridona al Padre la sua paternità, o meglio, il suo libero essere Padre, rendendolo così costantemente libero di una relazione che scaturisce dal suo stupore originario.
Sia il Padre che il Figlio si stupiscono Ciascuno dell’atto di libertà con cui l’Altro si relaziona: Ciascuno scopre che Sé e l’Altro sono Dio, e che l’amore è la verità del loro essere-Dio. Qui Coda introduce il Terzo, lo Spirito Santo. Egli è l’ispirazione passiva e attiva: essendo Dio come il Padre e il Figlio, passivamente, è lo stupore del Padre e del Figlio, e attivamente, è il farsi evento di libertà e d’amore che Dio stesso è, l’eterno movimento di desiderio e di stupore relazionale.
La frase di Gaber, “la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”, al di là del riferimento politico che può assumere, ha anche una chiara valenza teologica. Partecipazione significa stupirsi del desiderio che ciascuno possiede che l’altro sia, e dire di “sì” a tale stupore. La libertà, in questo senso, più che essere intesa come spazio di autorealizzazione, è affermazione dell’altro: è nel noi comunionale che il singolo io sperimenta la propria libertà d’essere se stesso.