di Stefano Tarocchi • La data del 29 giugno unisce in una sola celebrazione la memoria degli apostoli Pietro e Paolo: «Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli… [che] con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa… associati nella venerazione del popolo cristiano, condividono la stessa corona di gloria». Ora, è un fatto che del primo non ci sono notizie nel libro degli Atti, a differenza del secondo. Occorre fare però alcune precisazioni.
Secondo san Girolamo l’arrivo a Roma dell’apostolo avviene in una data ben precisa. Scrive il presbitero dalmata: «Poiché negli Atti degli Apostoli è scritto ampiamente sulla sua vita, io voglio soltanto dire che Paolo viene mandato prigioniero a Roma nell’anno venticinquesimo dopo la Passione del Signore, cioè nel secondo anno di Nerone, al tempo in cui Festo succede a Felice come procuratore della Giudea» (de viris inlustribus V,5; cf. At 24,27: «Trascorsi due anni, Felice ebbe come successore Porcio Festo»).
È legittimo supporre che questa data sia il 55 d.C., poco prima dell’inverno – infatti dopo l’11 novembre la navigazione era interdetta: si dichiarava cioè il mare clausum –, come testimonia ancora il libro degli Atti: «giungemmo in una località chiamata Buoni Porti [gr. Kaliliméni nell’isola di Creta], vicino alla quale si trova la città di Lasèa. Era trascorso molto tempo e la navigazione era ormai pericolosa, perché era già passata anche la festa dell’Espiazione; Paolo perciò raccomandava loro: «Uomini, vedo che la navigazione sta per diventare pericolosa e molto dannosa, non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite». Il centurione dava però ascolto al pilota e al capitano della nave più che alle parole di Paolo. Dato che quel porto non era adatto a trascorrervi l’inverno, i più presero la decisione di salpare di là, per giungere se possibile a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale» (27,8-12).
Puntualmente accade l’inevitabile, ossia quanto descritto poco più avanti, con il naufragio verso Malta: «La nave fu travolta e non riusciva a resistere al vento: abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva» (27,15). Qui a Malta l’apostolo rimase per l’inverno. Infatti «dopo tre mesi salpammo con una nave di Alessandria, recante l’insegna dei Diòscuri, che aveva svernato nell’isola» (At 28,11).
Girolamo aggiunge che Paolo «restando due anni in libertà vigilata, disputava ogni giorno con i Giudei sulla venuta del Cristo» (De viris inlustribus V, 5). Il soggiorno dell’apostolo a Roma avviene di fatto nella forma di una custodia preventiva, molto leggera, che gli permette una certa libertà di azione. Paolo prigioniero, pur vivendo in una casa da lui scelta, probabilmente rimaneva però legato con il polso destro al soldato di guardia, secondo quanto prescriveva la custodia militaris romana.
Comunque ci sono numerosi indizi, sempre sulla scia delle notizie di Girolamo, per situare la sua morte entro il 58: egli scrive ancora, a proposito degli Atti degli Apostoli, che il «racconto giunge fino al[la fine] del biennio della permanenza di Paolo a Roma, cioè fino al quarto anno di Nerone» (de viris inlustribus VII, 2).
Questa datazione si situa inequivocabilmente tra l’ottobre del 57 e l’ottobre del 58. A onor del vero va detto però che lo stesso Girolamo, sostiene altrove (de viris inlustribus, V, 8) una data più avanzata: quarto decimo Neronis anno: ossia il 67 d.C.
Quindi, non si è verificato nessun viaggio verso la Spagna, come nelle intenzioni di Paolo quando scrive ai cristiani di Roma – è stato ipotizzato, sempre sulla scia di Girolamo, addirittura un fallimentare viaggio in Spagna, dopo il quale l’apostolo sarebbe ritornato in Oriente, e di qui, definitivamente a Roma – (cf. Rom 15,24.28: «spero di vedervi, di passaggio, quando andrò in Spagna, e di essere da voi aiutato a recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza…Quando avrò fatto questo e avrò consegnato sotto garanzia quello che è stato raccolto, partirò per la Spagna passando da voi»), né, contrariamente all’opinione di alcuni autori possono mutare il contesto le lettere pastorali e i dati personali che forniscono (2 Tim 4,6.13.16: «Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita…Venendo, portami il mantello, che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo, e i libri, soprattutto le pergamene… Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto»; cf. Tt 3,12).
Anche se la tradizione antica ed autorevoli esegeti parlano in tutt’altro senso, è comunque un fatto che l’autore degli Atti non racconta la morte di Paolo – è stato addirittura ipotizzata l’intenzione di un terzo libro di Luca, o un’attenzione benevola verso il governo romano, o la volontà di non esasperare le controversie all’interno della complessa situazione della chiesa di Roma –. Gli Atti, comunque, non sono la biografia dell’apostolo Paolo. D’altronde l’antichità ci ha abituato alla “retorica del silenzio”, e comunque la morte dell’apostolo era ben nota ai lettori degli Atti – basti pensare solamente al discorso rivolto da Paolo a Mileto ai presbiteri di Efeso: At 20,23.37-38 –; del resto l’autore evita così di accostare questa alla morte di Gesù, che in evitabilmente sarebbe stata oscurata dal paragone con quella di Paolo.