di Alessandro Clemenzia • Nessuno oggi potrebbe affermare che la Chiesa, nel riflettere su se stessa, non si autocomprenda in relazione al suo essere sinodale. Al di là di come la sinodalità si possa strutturalmente concretizzare, è di fondamentale importanza capire quale sia lo snodo teologicamente fondante di essa. Ed è proprio su quest’onda che viene recuperato e argomentato il sintagma representatio Christi, in un libro recentemente uscito di Giuseppe Ruggieri, intitolato Chiesa sinodale (Editori Laterza, 2017).
Il postulato di partenza dell’autore è quello di riconoscere che al centro di un evento sinodale sta il rendersi presente di Cristo mediante il suo Spirito. Una tale comprensione teologica, così formulata, può incorrere nel rischio di una certa astrazione, con risvolti addirittura pericolosi per una probabile ideologia che ne può scaturire, soprattutto se non si tiene conto del fatto che si tratta di un’affermazione “condizionata”, vale a dire che risulta vera nel momento in cui si verificano determinate circostanze; scrive l’autore: «Dire che nell’evento sinodale è la presenza di Cristo che mediante il suo Spirito opera il consenso è allora un’affermazione condizionata, che esprime l’attesa che si verifichino le condizioni perché lo Spirito possa operare» (p. 71). E questo significa anche che tale affermazione ha una sua performatività, in quanto, perché si verifichino quelle determinate condizioni che rendono presente Cristo stesso nel suo Spirito, i soggetti in causa sono chiamati a cercare e a creare quelle condizioni.
Secondo Ruggieri, il tema della representatio, termine introdotto da Tertulliano, costituisce realmente il nucleo centrale dell’evento sinodale, nonostante esso sia utilizzato dai teologi quasi esclusivamente nel suo riferimento all’Eucarestia, e in particolare alla funzione che i ministri esercitano all’interno della Chiesa.
Il discorso viene ancorato alla promessa fatta da Cristo ai suoi, quella di essere sempre presente in mezzo a coloro che sono riuniti nel suo nome (cf. Mt 18,20); «ogni altra espressione analoga (imago, similitudo, in persona, ecc.) rimanda allo stesso “evento” fondamentale: quello della presenza operante del Cristo mediante il suo Spirito» (pp. 73-74). La representatio, tuttavia, non è una semplice “rappresentazione” di Cristo, ma è una sua “ripresentazione”, e ciò significa che si realizza soltanto in quanto è Cristo stesso a rendersi presente. Si comprende, dunque, come il genitivo Christi, da un lato, assuma un significato oggettivo: Cristo viene rappresentato; dall’altro, un significato soggettivo: è Cristo che rende presente se stesso.
A partire da queste premesse, Ruggieri introduce alcuni contesti in cui può essere impiegato il sintagma representatio Christi: quello trinitario, quello cultuale, quello assembleare e, infine, quello ministeriale individuale. Senza voler tracciare le caratteristiche di ciascuno di essi, ciò che è qui di maggiore interesse è scorgere quel filo rosso che possa offrire alla sinodalità un’accezione teologica più profonda.
Come già affermato, il luogo privilegiato in cui si è compresa la representatio Christi è la celebrazione dei sacramenti, e in particolare dell’Eucarestia: «La presenza attiva di Cristo nella chiesa liturgicamente adunata opera una consociatio a sé della chiesa sposa, mediante cui si realizza la santificazione dell’uomo e si forma il corpus mysticum» (p. 81), lì dove “mistico” – secondo l’uso medievale – significa appunto corpus representativum.
Il luogo fontale della representatio Christi, secondo Ruggieri, è la vita trinitaria, in quanto essa è un effetto della presenza operante del Padre nel Figlio. Sulla base di alcuni termini scritturistici e, in particolare, giovannei, quali “immagine”, “forma”, “impronta”, ecc., e alla luce della riflessione teologica si può affermare che il Padre si rappresenta nel Figlio (representatio Patris), e il Figlio, in questo senso, è il ripresentatore del Padre. Ed è da tale evento relazionale primordiale che Gesù può affermare: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato» (Mt 10,40).
Una volta individuata la fonte, Ruggeri rivolge la sua attenzione all’ambito assembleare della representatio, che – come si è già detto – si fonda sul «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20). C’è una presenza di Cristo nello Spirito, che ha come effetto immediato la sinfonia e l’accordo tra i diversi soggetti, ed è questa concordantia a garantire l’indefettibilità alla Chiesa. Questa convinzione ha animato i padri conciliari sin dai primi secoli: la representatio Christi coincide con l’ispirazione dello Spirito. L’autenticità di un concilio, secondo l’autore, si fonda infatti su due pilastri: la representatio (che genera la sinfonia ecclesiale) e la conformità alla fede tramandata (la Tradizione). Ed è proprio a partire da questa rappresentanza di Cristo, e attraverso di essa, che scaturisce la rappresentanza di tutta la Chiesa in un concilio. La representatio Christi si esprime anche attraverso il consenso di tutta la Chiesa, «che non è in primo luogo convergenza su una formula, ma unione vicendevole dei soggetti liberi e diversi (concordantia oppositorum) attorno alla soluzione di un problema posto dalla storia» (p. 88).
Di rilievo, dunque, è il contributo di Ruggeri: la representatio Christi, soprattutto nel suo significato soggettivo, può realmente essere considerata lo snodo teologicamente fondante della sinodalità.