di Dario Chiapetti • Quale comprensione il mondo secolare suggerisce all’uomo riguardo al concetto di trascendenza? Trascendenza e mondo secolare (Queriniana, Brescia 2016, 255 pp.) è il primo testo tradotto in italiano del teologo e filosofo delle religioni Ingolf U. Dalferth, per molti, eminente rappresentante dei pensatori tedeschi appartenenti alla terza generazione dopo quella di K. Barth, R. Bultmann, D. Bonhoeffer e quella di W. Pannenberg, J. Moltmann, E. Jungel. «La teologia cristiana – scrive Dalferth nell’Introduzione – dovrebbe avere un atteggiamento critico nei confronti dell’attuale congedo dalla secolarizzazione e del richiamo, che va di moda, a una nuova epoca religiosa post-secolare. Sin dall’inizio la fede cristiana ha giocato un ruolo decisivo nel rendere profano il mondo, nella critica della religione, delle religioni e della religiosità, e nel dare una nuova forma alla vita umana che sta alla presenza di Dio».
L’impostazione che sta alla base delle riflessioni dell’Autore, propria di una vera filosofia analitica, è molto attenta alla fissazione e all’approfondimento delle definizioni dei concetti presentati mediante un rigoroso procedere argomentativo che ricorre al pensiero strutturato secondo una logica formale – nello specifico quella modale – che assume dei principi, quali quelli di necessità e possibilità, come criteri-guida delle riflessioni. Grande attenzione è riservata anche agli statuti epistemologici e ai risultati delle scienze naturali pur accanto a una critica alla cosiddetta teologia naturale che suppone di parlare di Dio mediante la sola ragione.
In particolare, Dalferth, configurando la sua filosofia della religione secondo la matrice simbolico-pragmatica e quella ermeneutico-critica, mostra come la funzione basilare della religione sia quella di orientamento per l’uomo nella sua prassi vitale mediante operazioni di distinzioni simboliche e, così, di smascheramento delle possibilità di fraintendimento.
In tale quadro l’uomo realmente religioso è colui che riconosce la «Presenza ultima», come l’assoluta trascendenza che si dà nell’immanenza, e che verso di essa dirige la sua esistenza. Questo orientamento fa sì che cada la distinzione tra «sacro» e «profano», «religioso» e «secolare», per lasciare spazio a quella tra «fede» e «incredulità». «L’orientamento vitale cristiano – scrive Dalferth – si lascia alle spalle l’alternativa tra vita religiosa e non-religiosa. L’elemento che lo qualifica è la presenza di Dio che si rende attuale, l’assenza di una differenza tra profano e sacro nel mondo e la distinzione nello spazio delle possibilità, posta da questa presenza di Dio, tra una vita che ad essa si orienta (fede) e una vita che non lo fa (incredulità)».
Una religione e una fede così concepite aprono a una serrata critica della religione come sistema di concezioni, visioni, riti, precetti; il monoteismo ebraico-cristiano si distinse, si distingue e dovrebbe distinguersi proprio per tale critica, come, ad esempio, avvenne nei confronti del cosmoteismo delle religioni antiche.
Si giunge così al punto centrale del discorso dell’Autore: il tempo attuale è, sì, da denominarsi come «post-secolare» ma non nel senso che, passate le tempeste del positivismo, del relativismo e del nichilismo, si è tornati ad una nuova stagione in cui la religione ha riconquistato un suo interesse negli uomini e quindi una sua presenza nella società, ma nel senso che, come commenta Andrea Aguti nella Prefazione, «la religione viene effettivamente superata mediante la neutralizzazione della differenza secolare/religioso», trovando così la sua vocazione essenziale di «fonte primaria di orientamento e di senso per la vita umana».
La netta distinzione tra trascendenza e immanenza – Dio non è assolutamente l’uomo – è colta non in una separazione delle due dimensioni ma nel diverso modo di esplicarsi dell’atto vitale umano: «Entrambe – spiega Dalferth – non definiscono ambiti diversi nella vita, bensì diversi atteggiamenti verso tutti gli ambiti della vita sulla base di un evento che si lascia indicare come irruzione della trascendenza nell’immanenza e che può condurre a ri-orientare la vita nell’apertura per la trascendenza».
Il discorso di Dalferth, che certo risulta caratterizzato, da un lato, dalla prospettiva generale in cui si colloca – ovvero, quella che fa tesoro dell’eredità teologica dei pensatori sopra ricordati – e, dall’altro, dalla sua specifica angolatura – quella che tiene insieme la filosofia (analitica) delle religioni e la teologia -, ben si ascrive tra i contributi che cercano di offrire una lettura del momento attuale, delle sue istanze e dei suoi inviti in relazione alla fede e anche al significato proprio della teologia. Quanto a quest’ultima, conclude l’Autore: «il suo fine non è quello di una fondazione esaustiva della fede di fronte al foro di una sfera pubblica osservante, ma il concreto ricordo che noi tutti siamo coinvolti, ovvero persone che vivono alla presenza di Dio».