di Giovanni Campanella • Esattamente un anno fa (gennaio 2016) Pazzini Editore ha stampato un piccolo libriccino intitolato La rivolta delle risorse umane – Appunti di viaggio verso un’altra società, interno alla collana “Una economia per l’uomo” e scritto da Roberto Mancini, ordinario di Filosofia teoretica all’università di Macerata. Il titolo è, a mio avviso, un po’ fuorviante: ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte a un breve saggio riguardante tematiche del lavoro. In realtà, l’obiettivo di Mancini è più ampio. L’autore intende delineare un esodo dall’eccessivo economicismo in cui si trova impantanata la società attuale a un mondo dove ci sia maggiore democrazia e tutte le persone siano maggiormente rappresentate. L’espressione “risorsa umana”, considerata infelice da Mancini (forse sulla scia di Risorsa umana di Gesualdi) , gli serve per indicare un contesto mondiale dove appunto la legge della massimizzazione del profitto di pochi è il motore di ogni decisione ed è capace di condizionare l’azione degli Stati a tal punto da scavalcare la volontà dei cittadini, instaurando governi non legittimati dal voto popolare e al servizio di un economicismo ossessivo. Il libretto mi è parso eccessivamente rabbioso, “distruttivo” e poco “costruttivo”, risparmiando stoccate quasi a nessuno (forse l’unico che si salva è Papa Francesco e pochissimi altri). Tuttavia contiene qualche spunto interessante. Inoltre, nonostante sia passato un anno dalla pubblicazione, certe considerazioni sulla “ademocrazia” della società odierna rimangono attuali, soprattutto nella presente congiuntura politica italiana.
“Ademocrazia” può essere considerato sinonimo di annichilimento del peso della persona e frutto dell’idolatria del denaro. Il denaro non è persona. La persona che pensa di accumularlo e mantenerne contemporaneamente il controllo viene alla fine “spersonalizzata”, diventa “non-persona”, proprio come il suo dio. Nel secondo capitolo, che tratta della finanziarizzazione della società, Mancini scrive:
«Viene alla mente qui la pregnanza dell’immagine evangelica del male come aggregato sfuggente di una molteplicità senza centro e senza identità; quando Gesù si rivolge allo spirito impadronitosi dell’indemoniato di Gerasa, questi risponde: “Il mio nome è Legione, perché siamo molti” (Mc 5,9). In qualunque formazione sociale totalitaria, e in particolare in una società finanziarizzata, il potere dominante è “legione”, non risale a un certo soggetto o a un altro. Siamo qui dinanzi all’espressione tipica del fatto che il male opera come una logica impersonale a cui gli esseri umani si consegnano: obbedendo a essa restano disumanizzati e schiavizzati. Mentre l’amore secondo il bene “personalizza” nel senso che restituisce a ciascuno il suo volto, la sua dignità, la sua soggettività di persona unica, cosciente, libera e responsabile, il male al contrario “spersonalizza”, cioè svuota chiunque della sua umanità e lo riduce a oggetto e strumento» (pp. 22-23).
Pur attribuendo grande importanza alla democrazia, Mancini riconosce che essa ha comunque bisogno di un popolo informato e formato. Ha bisogno di un buon humus su cui crescere.
«Infatti non c’è democrazia senza un popolo preparato. E’ la mancanza di questa condizione decisiva a rendere così ardua non dico la possibilità di arrivare a scegliere un governo all’altezza del presente e del futuro della società italiana, ma almeno quella di evitare di consegnare il potere a individui e partiti non credibili, sicuramente pronti a nuocere al Paese. Deve far riflettere il fatto che la parola “popolo” sia lasciata alla retorica populista; per il resto si preferisce parlare di “cittadini” e di “cittadinanza”, lasciando nell’ombra il riferimento alla comunità dei soggetti della democrazia nazionale. Siamo in una situazione paragonabile a quella di un ubriaco che, nel tentativo di scegliersi un auto per guidare, continua a lamentarsi del fatto che le auto a sua disposizione non vanno bene. E’ pur vero che i mezzi disponibili (i partiti) sono pieni di difetti, ma è ancor più vero che il primo problema è lo stato di ineducazione e di scarsa lucidità di chi (il popolo) dovrebbe fare la scelta» (pp. 77-78).
Due gruppi di esseri umani stanno agli estremi opposti del lungo percorso di “personalizzazione” dell’uomo. Da cristiani, crediamo che ogni individuo sia chiamato ad assecondare l’azione dello Spirito, che dalla grigia marea di “spersonalizzati”, assoggettati dall’avere, ci sospinge gradualmente a essere e verso l’Essere ….. in un popolo di persone, consapevoli, e in piena relazione tra di loro e con Dio. In fondo, il Signore ci desidera tutti uniti in un solo popolo. E’ il cammino della Chiesa, chiamata ad essere seme e germogliare in Regno di Dio.