di Stefano Liccioli • Nasce dall’ultima intervista rilasciata dal Cardinal Silvano Piovanelli il libro intitolato “Il parroco cardinale” in cui Marcello Mancini e Giovanni Pallanti, che questa intervista hanno raccolto in due pomeriggi dello scorso giugno, raccontano la vita di colui che dal 1983 al 2001 è stato arcivescovo di Firenze. Anche il cardinale deve aver avvertito che quella sarebbe stata la sua ultima intervista, annota nella prefazione del libro Mons. Luigi Innocenti che ne è stato per venti anni il segretario particolare, «mai l’ho visto così commosso e partecipe mentre riandava con la memoria ad antichi e lontani ricordi».
La vicenda biografica di Piovanelli viene sapientemente intrecciata dagli autori con una puntuale ricostruzione del contesto storico in cui egli ha vissuto ed operato, facendo così emergere la sua figura come quella di uno che è appartenuto ad una significativa costellazione di grandi fiorentini che hanno illuminato la nostra città, e non solo essa, nella seconda metà del secolo scorso, così come lo ha definito l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori.
L’esistenza del Cardinal Piovanelli si snoda man mano tra le pagine del libro ed è lui stesso a ripercorrere i passaggi più importanti. Sembra di sentirlo parlare il cardinale e raccontare la sua infanzia nel Mugello, la scoperta della vocazione sacerdotale, gli anni del Seminario le cui giornate, ricorda, erano basate su disciplina, studio e silenzio, l’ordinazione presbiterale e l’incarico di cappellano alla Pieve di Rifredi con don Giulio Facibeni, dal 1947 al 1948. Seguirono gli anni come vicerettore del Seminario guidato dal Mons. Enrico Bartoletti a cui Piovanelli dice di essere molto grato, «per quello che mi ha insegnato nei dieci anni che sono stato con lui, lavorando fianco a fianco». Nel 1960 fu nominato parroco a Castelfiorentino dove, in quello che era considerato il comune più rosso d’Italia, Piovanelli «ebbe la pazienza di aspettare e trasmettere la sua volontà di accogliere, senza pregiudizi, nel rispetto delle idee di ogni uomo». Il servizio pastorale nella Valdelsa non gli impedì di essere presente nella vita della Chiesa fiorentina. Fu così, per esempio, che nella vicenda della contestazione dell’Isolotto che vedeva contrapposti all’arcivescovo Florit il parroco don Mazzi ed i suoi parrocchiani, Piovanelli «si distinse per la vocazione mediatrice e già affermando il ruolo di leader dell’ala “pontiera” del mondo clericale». Dopo diciannove anni a Castelfiorentino il Cardinal Benelli, allora arcivescovo di Firenze, lo chiamò a ricoprire l’incarico di pro-vicario, poi vicario generale, vescovo ausiliare e, nel 1983, dopo la morte del Cardinal Benelli avvenuta nell’autunno dell’anno precedente, la nomina ad arcivescovo di Firenze. Dell’azione pastorale di Piovanelli gli autori ricordano episodi più noti come l’impegno per la comunicazione con la nascita di Radio Toscana e Toscana Oggi o il grande lavoro del sinodo diocesano, ma anche altri episodi meno noti, ma allo stesso tempo paradigmatici di un pastore che ha portato su di se l’odore delle pecore:«Piovanelli, con un linguaggio semplice, sia pubblico con le sue lettere pastorali, sia privato con le lettere inviate a persone con cui era in amicizia, ha voluto far comprendere che il vescovo era di tutti e per tutti».
Nel 2001 il cardinale lasciò la guida della diocesi di Firenze per sopraggiunti limiti d’età, scegliendo come abitazione un modesto alloggio nella canonica di Cercina, in quella zona dove tanti anni prima il Cardinal Dalla Costa l’aveva mandato a fare il parroco. Dal giorno del suo ritiro Piovanelli iniziò un lungo periodo di studio, preghiera, predicazione di esercizi spirituali in varie parti d’Italia e conferenze, un impegno che ha portato avanti fino quasi alla sua morte, avvenuta il 9 luglio del 2016.
In conclusione il libro di Mancini e Pallanti è una preziosa memoria di una lunga stagione storica che Silvano Piovanelli ha attraversato con la sua vita, un’esistenza che viene restituita in tutta la sua ricchezza ed essenzialità, la stessa essenzialità con cui il cardinale stesso ha chiesto ai suoi intervistatori di essere ricordato, «come un prete. Sì, un prete…».