di Dario Chiapetti • Il 21 settembre scorso a Chieti la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse ha firmato il documento dal titolo: Sinodalità e primato nel primo millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa. La commissione, istituita da Giovanni Paolo II e il patriarca ecumenico Dimitrios I nel 1979, ha pubblicato finora sei documenti: l’ultimo di questi, prima di quello succitato, Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della chiesa, fu approvato a Ravenna nel 2007 e riveste grande importanza nel dialogo ecumenico cattolico-ortodosso. La prima parte fonda: in Gesù l’autorità nella chiesa, nella diaconia verso la comunità la specifica autorità episcopale, e nel ministero battesimale proprio del popolo di Dio la sinodalità che riflette il mistero trinitario e costituisce l’espressione dinamica dell’esercizio di tale ministero. La seconda parte traccia la modalità di attuazione di una così intesa sinodalità su un triplice livello: quello della chiesa locale, regionale e universale. In tutti e tre i livelli – e in ciò sta la rilevanza dottrinale del Documento in ordine al cammino ecumenico – è affermato il presupposto della reciproca interdipendenza tra primato e sinodalità. Non solo: la chiesa di Roma, presiedendo nella carità, riveste un posto di rilievo rispetto alle altre. Certo, non si affrontano le prerogative specifiche del vescovo di Roma, allo studio delle quali lo stesso Documento rimanda ad una riflessione successiva, ma si affronta la questione del suo primato, realizzando convergenza attorno a tale nodo. Il punto debole di tale Documento non sta quindi tanto nei contenuti quanto nel fatto che il patriarcato di Mosca, per questioni interne al mondo ortodosso, specialmente con Costantinopoli, non firmò. Fatto sta che prese comunque avvio il cammino che fu pensato scandito in tre tappe: il rapporto tra primato e sinodalità nel primo millennio; nel secondo millennio, con particolare attenzione al delicato punto costituito dal dettato della Pastor Aeternus del Vaticano I; e, infine, nel momento attuale così ricco di input teologici offerti dal Vaticano II.
Si giunge così ai lavori di Chieti con la firma del Documento di cui sopra che affronta secondo una prospettiva storica focalizzata sul primo millennio il presente tema. In tale lungo periodo il vescovo di Roma esercitava un ministero di unità a livello universale della Chiesa senza però comportare una giurisdizione diretta sulle chiese orientali. Quest’assetto ecclesiologico rappresenta un modello qualificante anche per lo studio dell’esercizio del ministero petrino oggi come, del resto, già Joseph Ratzinger nel 1976 sosteneva: «Roma non può chiedere all’Oriente riguardo alla dottrina del primato più di quanto sia stato formulato e diffuso nel primo millennio». Il guadagno teologico del presente Documento è che tale prospettiva è stata ratificata da ambo le parti e anche da Mosca.
Lasciando ai prossimi lavori della Commissione il compito di approfondire la comprensione della relazione tra primato e sinodalità nel secondo millennio si possono fare i due seguenti brevi rilievi, non privi di conseguenze per la configurazione del futuro cammino ecumenico.
Innanzitutto occorre focalizzarsi sul fatto che la questione circa la relazione di circolarità tra sinodalità e primato, a ben vedere, lungi dall’essere concepita esclusivamente su un piano funzionale-istituzionale, riflette quel principio ontologico primo che l’autorivelazione di Dio Trinità ha reso manifesto: la simultaneità – e non la precedenza – dell’unità e dell’alterità nella costituzione e nel darsi dell’Essere. La Chiesa, sussistendo in tale divino dinamismo, deve declinare in modo storicamente sempre più appropriato il principio di questa simultaneità e circolarità in ogni relazione intra-ecclesiale. In tale quadro, la sinodalità designa quel particolare pensare collegiale che scaturisce dall’inter-relazione dei vari soggetti ecclesiali e che rappresenta, soprattutto nel kairós attuale, la forma eminentemente espressiva della suddetta dinamica trinitaria di circolarità tra unità e distinzione, la cui taxís trova nella koinōnía–diakonía il suo principio strutturante.
Di conseguenza, in secondo luogo, occorre allargare il discorso sulla sinodalità da una comprensione che si limita unicamente alla relazione tra il vescovo di Roma e il collegio episcopale: questo concetto interessa tutto il popolo di Dio. Quest’ultimo deve prendere consapevolezza della sua identità, cioè del suo essere Soggetto dell’evangelizzazione (cf., ad es., Evangelii Gaudium 111), con le sue “diverse espressioni” (EG 115), e lasciare che tale assunto diventi l’elemento informante i tratti identitari, le specificità, le funzioni dei vari soggetti ecclesiali e le relazioni tra di essi, le quali vengono a caratterizzarsi da un continuo scambio di doni: “quante cose – scrive papa Francesco in EG 246 a proposito del dialogo ecumenico – possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come dono anche per noi”.