di Antonio Lovascio • Non invidiamo gli esperti di Geopolitica, l’alveo nel quale scorre il fiume della Storia, con i suoi conflitti e le sue dinamiche, la chiave di lettura basilare per interpretare il presente e dettare l’agenda internazionale. La Storia sta purtroppo diventando un impetuoso torrente, capace in un baleno di trasformarsi in una sorta di “mostro” che travolge tutto. In meno di un mese è successo quello che in passato segnava le cronache di mezzo secolo. Dalla surreale Brexit al goffo golpe in Turchia, passando per gli orrori di Dacca prima di arrivare a quello di Rouen, la perla della Normandia legata al nome di Giovanna d’Arco. Per non parlare dei massacri in Irak e Afghanistan, e registrando allo stesso tempo l’odio di Dallas e le follia di Nizza, Monaco di Baviera ed altre città della Germania, nuovo obiettivo dell’Isis. Che con l’ordine di attaccare le chiese e di uccidere davanti a un altare e in mezzo ai fedeli (il prete francese sgozzato fa salire a 396 il numero dei sacerdoti e missionari trucidati negli ultimi quindici anni!) lancia l’idea di una pulizia etnica contro le comunità cristiane.
Papa Francesco, andando ancora una volta controcorrente, ha ribadito che “il mondo è in guerra: una guerra di interessi, per soldi, per le risorse naturali”, ma “non è una guerra di religione”. L’Europa, sì, è in stato di emergenza. Percorsa da una sorta di schizofrenia diffusa, che non esclude niente, perché si sono insinuati nelle vene delle Nazioni molteplici veleni. Quelli importati dal Medio Oriente e quelli sedimentati in società che si sentono aggredite e frustrate nelle loro aspirazioni. L’effetto più immediato? Un clima di ansia e di paura difficile da dominare, perché colpisce i luoghi della vita quotidiana, perfino quelli della preghiera. Pezzi di queste realtà e alcuni soggetti si considerano in guerra, forse prima di tutto contro se stessi. Occorre tenerlo presente, oltre al fatto che il terrorismo è una tecnica di combattimento, prima ancora che un’ideologia mortale: quindi non può essere sconfitto in maniera definitiva solo investendo miliardi di euro per l’intelligence e la prevenzione, per individuare e catturare cellule organizzate in ospitali quartieri islamizzati o con i lupi solitari a volte spinti dall’emulazione. Per coprire le falle nella sicurezza (quante ne abbiamo viste in Francia!) spesso dovute alla mancanza di collaborazione nella rete Ue.
C’è dunque il pericolo (contro il quale hanno messo in guardia le analisi di Alberto Negri su “Il Sole-24 Ore”, di Aldo Cazzullo e Beppe Severgnini sul “Corriere della Sera”, di Mario Calabresi su “Repubblica”) che alla fine l’Europa dell’euro, della burocrazia e della finanza, di tutti i simboli più detestati e divisivi, salti su un’altra mina: il terrore – appunto – l’immigrazione, il ritorno delle frontiere. Fenomeni diversi che i nemici del progetto di De Gasperi e Schuman hanno interesse a confondere; senza che Bruxelles ed i leaders-guida (Merkel, Hollande) facciano qualcosa di concreto per evitarlo. La fine di Schengen, che molti vorrebbero, non sarebbe meno grave della fine dell’euro. Rappresenterebbe l’abolizione dell’eguaglianza tra i popoli e gli Stati del Vecchio Continente, e la rinuncia alla gestione comune dei flussi migratori.
Un esplosivo che si espande di pari passo a quello della Turchia. Gli ultimi eventi del Bosforo rappresentano un nuovo pericoloso relais con il Medio Oriente in disgregazione. Se questo “ponte” tra Europa ed Asia si destabilizza ulteriormente, le terre mobili musulmane avranno gioco facile a coinvolgere un alleato della Nato ( con 500 mila soldati è il secondo Paese dell’Alleanza Atlantica dopo gli Usa) che ospita 24 basi militari, armi nucleari comprese. Qui l’Isis è già entrato in azione perché in questi tre anni il sultano-tiranno Erdogan è stata considerato “amico” dei jihadisti, usati per combattere contro il regime siriano di Bashar Assad.
Dopo aver innestato una svolta autoritaria, con oltre 15 mila arresti e la soppressione di fondamentali diritti umani, Ankara deve dimenticare l’dea di entrare nell’Unione europea, dalla quale – dopo il referendum indetto incautamente da Cameron – sta uscendo la Gran Bretagna. Ma il neo Primo Ministro conservatore Theresa May non ha troppa fretta. Tirare in lungo con le trattative può giovare alla Germania nell’esercizio della sua funzione di arbitro. E giova certamente a Londra che, caduta ormai la prospettiva della firma del trattato commerciale fra l’UE e gli USA ( il cosiddetto TTIP), può negoziare in contemporanea la sua integrazione con il mercato europeo e con quello americano. Tutto questo non facilita però la coesione dell’Unione Europea. Ci aspettiamo quindi una forte presa di posizione della Commissione Junker perché il pur triste divorzio fra la Gran Bretagna e l’Unione Europea si compia presto e bene.
Anche l’Italia deve muoversi. L’angoscia per il futuro non può trovare risposte solo nella demagogia. Gli errori e la miopia dei partiti tradizionali spingono l’antipolitica. E’ altrettanto vero che sono ovunque in difficoltà: dalla Danimarca alla Francia, dalla Germania alla Gran Bretagna, dalla Spagna all’Italia, passando per l’Austria e l’Olanda le forze classiche di destra e di sinistra arretrano, lasciando spazio ai nuovi movimenti che, per convenzione chiamiamo populisti ma che, in ogni caso, sono il segno di un disagio crescente. Un’ondata che ha investito anche gli Stati Uniti: Trump (a parte le “americanate” con le quali nei sondaggi ha scavalcato la Clinton) interpreta il malessere dell’Occidente con le stesse posizioni di molti leaders protestatari europei. Questo perché le ragioni che generano tensioni se non addirittura rabbia, sono le stesse anche se si presentano con caratteristiche diverse. Prodotte da una insoddisfazione comune, che ci investe da quando si è affrontata l’inevitabile globalizzazione con strumenti che hanno progressivamente distrutto le fondamenta delle nostre società. Intanto sotto i colpi di “scosse telluriche” come la Brexit, il golpe in Turchia, gli attentati terroristici e le incursioni di accoliti fanatici, stiamo perdendo l’Europa, che – lo va scrivendo da mesi Romano Prodi – da ‘calda’ sta diventando sempre più ‘fredda’ nella percezione dei cittadini”. Europa che, per dirla con il card. Bagnasco, prima di tutto “non deve vergognarsi di essere cristiana”.