di Carlo Nardi • Nel ’500 il benemerito monsignor Giovanni della Casa nel suo Galateo non considerò le buone creanze in chiesa. Qualcuno poi ci pensò. Certo, le raccomandazioni andrebbero adattate non tanto secondo le relativamente nuove regole, ma piuttosto secondo il spirito della riforma liturgica: spirito che, a un occhio superficiale, parrebbe refrattario a regole. Eppure la riforma liturgica non è la privatizzazione selvaggia del culto pubblico.
Piuttosto, la liturgia libera da un io sempre ingombrante e un po’ ridicolo, anche quando si tratta di devozione. Anzi, più che mai quando i nostri modi ci sembrano quelli del Padreterno. Insomma, un po’ di galateo non disdice in chiesa. Sarebbe in sintonia con quanto suggerisce il Concilio: «i riti rifulgano per rilevante semplicità». Nulla di più lontano dalla pompa come dalla sciattezza. Al contrario un culto tutto essenzialità, armonia e linearità, per un primato del significativo sul decorativo, culto che ricorda l’ideale classico di «nobile semplicità e placida grandezza» (Winckelmann).
Anche al della Casa sarebbe andato a genio il proverbio toscano: i troppi amen guastan la messa. L’unica volta che rammenta la chiesa è in bocca a uno sguaiato zelante che crede di fomentare la fede altrui con l’offesa: «Non venisti meco alla chiesa. Bestia!» (Galateo, cap. 7): una correzione non proprio fraterna. Invece, per chi ambisce, fraternamente, a far gustare e vivere la liturgia, anche la mentalità del Galateo può calzare a puntino.
Può esserci una buona creanza espressione di partecipazione piena, consapevole, attiva al culto, in primo luogo alla messa? È una cosa da tentare, fin da come s’entra in chiesa e si fa il segno della croce. Un illustre teologo, Romano Guardini, con la semplicità di un catechista, raccomandava: «Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce che cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. […]
Perché? Perché è il segno della totalità ed è il segno della redenzione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce Egli santifica l’uomo nella sua totalità, fin nelle ultime fibre del suo essere. […] Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto il tuo essere, corpo ed anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, e tutto diviene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel nome del Dio uno e trino» (I santi segni, in Lo spirito della liturgia, Brescia 1987, pp. 135-136).
Galateo, buona creanza, consapevolezza: è tutto questione di rispetto, senza il quale non c’è adorazione.