di Francesco Vermigli • Le parole servono ad indicare le cose. La logica insegna che esse sono univoche quando indicano più cose in uno stesso senso; sono analoghe quando indicano varie cose in un senso in parte uguale, in parte diverso; sono equivoche quando indicano più cose in un senso diverso, inducendo quindi in errore. C’è una parola che nel mondo moderno si fa spazio in ogni dove, una sorta di mantra del mainstream d’oggi, un termine attorno a cui ci si può, anzi ci si deve riconoscere socialmente; anche se poi ognuno riveste quella parola di significati del tutto diversi: “amore”. Qui l’antico adagio bonus philosophus distinguit reclama spazio e l’intelligenza umana chiede di poter dire ancora qualcosa sull’uso di una tale parola.
Chi è avvezzo al mondo internet saprà che da un po’ di tempo sui più comuni social si diffondono hashtag del tipo #lovewins, #loveislove… che, almeno all’origine, sono stati legati a quella che viene chiamata la “galassia” LGBT. Non deve dunque sorprendere che un uso ancora più diffuso di etichette che portano con sé il termine “amore”, sia avvenuta in concomitanza di discussioni sulle unioni civili o sui matrimoni tra persone omosessuali, in Italia o anche al di fuori di essa. Ora, se uso l’etichetta #loveislove non faccio altro che riferirmi a realtà relazionali diverse (love), suggerendo però che sono la stessa cosa (is love): cioè non faccio altro che usare equi-vocamente la medesima parola (love). Inoltre, se uso un hashtag del genere e lo faccio per mobilitare l’opinione pubblica per rivendicazioni politiche (come per unioni civili e matrimoni tra persone dello stesso sesso), sto affermando che gli istituti giuridici dovrebbero dipendere dal rapporto sentimentale che unisce le persone. Ma il diritto per sua stessa natura si è sempre interessato alle manifestazioni visibili delle relazioni tra gli uomini; ritenendo di non esser capace di sondare le ragioni intime di queste relazioni, semplicemente perché non ha le competenze per farlo. Si direbbe che ad una mente giuridica l’etichetta #loveislove apparirà – al meno che si possa dire – un principio non particolarmente cogente, perché sottoposto alle interpretazioni arbitrarie dei singoli.
Ora, se è del buon filosofo distinguere, non si vede perché non lo dovrebbe essere anche del teologo e del semplice credente. Ci provò esattamente dieci anni fa papa Benedetto XVI, nella sua prima enciclica, intitolata – guarda un po’… – a Dio Amore (Deus caritas est). Da buon teologo il papa tedesco elencava e – guarda ancora un po’… – distingueva i tre diversi tipi di amore della tradizione filosofica greca: eros, philia e agape; per notare poi come essi convergano nell’immagine di Dio consegnataci da Cristo. Vale a dire che – secondo la descrizione che ne faceva Ratzinger – il Dio cristiano è ad un tempo “erotico” e “agapico”: desidera l’uomo di una passione sovrabbondante (eros) e dona tutto se stesso per lui (agape).
Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo ci aiuta a capire cosa sia l’Amore di Dio: non un amore generico – vuota parola che attende d’essere riempita ad libitum – ma un amore preciso, determinato, definito. Non potrai dire dell’Amore di Dio che si manifesta in Cristo quel che ti pare, perché l’Amore di Dio in Cristo si è mostrato in un modo tutto proprio, che resiste ad ogni tentativo di manipolazione. Non potrai dire quello che ti pare, se vuoi essere fedele a quello che i suoi hanno testimoniato di Lui. L’amore come lo intende il mondo d’oggi – parola leggera, tanto leggera da prendere il volo (#loveisintheair… non è vero John Paul Young?) – non è l’Amore di Cristo, roccia salda che nessuno potrà mai scalzare; Amore fedele, perché desidera la risposta dell’uomo, ma non la pretende, piuttosto l’attende, l’aspetta; Amore forte, di una forza che ha ancora molto da dire al mondo liquido d’oggi.
La Quaresima è tempo di preparazione a questa di-mostrazione d’amore: è cioè la preparazione all’evento di un uomo appeso ad un patibolo, che diceva di se stesso le cose che gli uomini dicono solo di Dio. La Quaresima sbocca nel venerdì santo, nel giorno in cui ci è dato di contemplare con meraviglia e stupore l’emblema per eccellenza dell’amore: la croce. Dice Gesù ai suoi discepoli nelle ultime ore che precedono la passione: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). E al Cantico dei Cantici – che afferma che l’amore è forte come la morte (Cantico 8,6) – Cristo risponde che il suo Amore è più forte anche della morte: il suo Amore porta la luce dove c’erano le tenebre, porta la vita dove c’era la morte, perché Egli è venuto affinché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni 10,10). Guardare il crocifisso con l’onestà di un cuore inquieto e libero ci fa capire che non tutto è uguale in questo mondo. Se qualcuno ha questo cuore inquieto e libero, allora scoprirà che in fondo – nonostante tutto quello che gli viene detto ogni giorno – #notallisthesamelove.