di Andrea Drigani • «Chi non trova un biografo deve inventare la sua vita da solo». E’ questa una delle battute dello scrittore e giornalista Giovannino Guareschi (1908-1968), autore del personaggio di don Camillo in coppia con Peppone, che Papa Francesco ha ricordato nel suo discorso di Firenze per il Convegno Ecclesiale Nazionale. I libri di Guareschi ebbero un successo enorme, furono venduti diversi milioni di copie, con numerose traduzioni. Guareschi per la sua indipendenza e la sua intransigenza fu un solitario e la sua vita conobbe diverse vicissitudini anche drammatiche, dalle quale cercò di uscire sempre con coraggio e speranza. Inizia come cronista, prosegue collaborando al settimanale «Bertoldo», dove col suo fine ma efficace umorismo critica il regime fascista. Nel 1943 si rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò e viene internato in un lager tedesco. Nella campagna elettorale del 1948, col giornale «Candido» da lui fondato, si schiera a fianco della DC contro il Fronte Popolare egemonizzato dai comunisti. Successivamente incapperà in una vicenda giudiziaria, a seguito della pubblicazione di due lettere di Alcide De Gasperi, rilevatosi poi false, che lo porterà ad una condanna per diffamazione con conseguente restrizione in carcere. Si dichiarava monarchico («Perché sono monarchico? Perché non c’è più il re»), mentre non ostentava la sua fede cattolica; non si considerò, ne fu considerato, come appartenente alla categoria degli scrittori cristiani. Eppure se questa categoria esiste, Giovannino Guareschi ne ha fatto parte. Nella presentazione della prima edizione, marzo 1948, di «Mondo piccolo. Don Camillo», Guareschi scrive: «I personaggi principali sono tre: il prete don Camillo, il comunista Peppone e il Cristo crocifisso. Ebbene, qui occorre spiegarsi: se i preti si sentono offesi per via di don Camillo, padronissimi di rompermi un candelotto in testa; se i comunisti si sentono offesi per via di Peppone, padronissimi di rompermi una stanga sulla schiena. Ma se qualcun altro si sente offeso per via dei discorsi del Cristo, niente da fare; perché chi parla nelle mie storie, non è il Cristo, ma il mio Cristo: cioè la voce della mia coscienza». Nel libro si racconta, tra l’altro, di quando Peppone si reca in chiesa per portare cinque grosse candele e chiede che vengano accese non davanti al Crocifisso, ma alla Madonna, per il suo bambino di quattro anni che sta per morire. Don Camillo si scusa col Cristo per il rifiuto di Peppone («ha bestemmiato»), e si duole di non aver avuto la forza di dirgli nulla, in quanto ritiene che, per il dolore, Peppone abbia perso la testa. Il Crocifisso risponde: «E perché dovrei giudicarlo male? Egli onorando la Madre mia mi riempie il cuore di dolcezza». Ma don Camillo compra, di tasca sua, altre cinque candele per metterle dinanzi al Cristo, dicendo una bugia, cioè che le aveva offerte Peppone. «E tutto questo il Cristo lo sapeva benissimo e non disse niente, ma un lagrima scivolò giù dai suo occhi e rigò di un filo d’argento il legno nero della croce. E questo voleva dire che il bambino di Peppone era salvo.» Nelle storie di «Mondo piccolo», don Camillo si contrappone in maniera dura e decisa al comunismo, ma non si chiude mai nei riguardi delle singole persone, consapevole che anche il confronto più aspro e più polemico è una forma di dialogo, che cerca di mantenere un rapporto umano e cristiano. Don Camillo anticipa, in qualche modo, la distinzione tra l’errore e l’errante. Il contesto politico e sociale, sia italiano che internazionale, nel quale vive e scrive Guareschi è profondamente cambiato, ma don Camillo, come è stato detto, con la sua vicinanza alla gente e con la preghiera, può ancora essere un segno di un umanesimo cristiano, popolare, umile, generoso e lieto.