di Francesco Romano • Il 17 ottobre il calendario liturgico ci ha riportato alla memoria la figura di un grande uomo di cultura classica e giuridica nel quale la comunità dei fedeli, prima, e la Chiesa poi, vi hanno riconosciuto anche una statura di santità di vita esemplare.
Figlio di Rinaldo e di Luigia Buccellati, Contardo Ferrini nacque a Milano il 4 aprile 1859. Il padre fu un illustre professore di fisica al Politecnico, profondamente religioso, lontano dal cattolicesimo liberale benché fosse aperto a una certa cooperazione in prospettiva antisocialista.
Contardo a tredici anni aveva già assunto atteggiamenti di pietà molto marcati; frequentò il liceo Beccaria dove nel 1876 conseguì il diploma con il massimo voto e la lode insieme alla segnalazione per il latino e greco. Si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, di cui era preside l’abate Antonio Buccellati suo zio materno.
A Pavia l’ambiente goliardico del collegio creò al Ferrini problemi d’inserimento fino a ridicolizzarlo con il soprannome “il nostro san Luigi” o “il beatino”, rendendolo oggetto di pesanti scherzi dei compagni per la sua devozione e partecipazione alla messa quotidiana. Perfino allo zio abate questi atteggiamenti di religiosità parvero eccessivi.
A Pavia il Ferrini entrò in relazione con il Vescovo Agostino Riboldi, futuro cardinale, che ne apprezzò le doti spirituali e intellettuali guidandolo nella scelta di un programma di vita che lo portò a discernere per l’esclusione della vocazione sacerdotale e a guardare all’insegnamento come una forma specifica di apostolato.
Il Ferrini completò brillantemente i corsi giuridici privilegiando quelli di diritto romano. Seguì anche alcuni corsi della facoltà di lettere e studiò il tedesco. Infine si laureò nel 1880 con la tesi scritta in greco e da lui stesso tradotta in latino, per alcuni professori della commissione, dal titolo Quid conferat ad iuriscriminalis historiam Homericorum Hesiodeorumque poëmatum studium, riportando la votazione di “assoluto con lode” e una borsa di studio per un biennio di perfezionamento in Germania.
A Berlino il Ferrini portò avanti gli studi del celebre romanista Savigny e gli studi di diritto romano bizantino senza tralasciare l’esperienza spirituale nell’ambito della minoranza cattolica mentre imperava il clima del Kulturkampf. Tra l’altro si creò un proficuo rapporto con il botanico Westermajer, terziario francescano, che lo fece iscrivere alla Conferenza di S. Vincenzo. Pare sia stato allora che il Ferini abbia pronunciato il voto di castità, dapprima rinnovato di mese in mese, e poi definitivo.
Nel 1883 il Ferrini iniziò nell’Università di Pavia la sua carriera accademica insegnando esegesi delle fonti di diritto romano fino a produrre duecento pubblicazioni. In seguito fu promosso professore ordinario e dal 1887 al 1890 ricoprì a Messina la cattedra di pandette, mentre dal 1890 al 1894 a Modena quella di diritto romano, dove strinse amicizia col prof. Luigi Olivi che sarà il primo a proporre la sua beatificazione. Finalmente nel 1894 conseguì a Pavia la stabilità della cattedra senza lasciare la residenza di Milano dove viveva con i genitori.
Il Ferrini riuscì in quel periodo ad alternare le fatiche dello studio con la passione per l’escursionismo alpino come unico svago, spesso in compagnia dell’amico Achille Ratti, il futuro Pio XI, e l’impegno nella San Vincenzo e nel sociale. Ferrini nel 1895 fu consigliere comunale a Milano per quattro anni, cofondatore dell’associazione Religione e Patria, prese parte ad alcune iniziative di Toniolo e aderì all’Unione cattolica per gli studi sociali. Divenuto terziario francescano, si impegnò nell’apostolato quotidiano visitando i malati. Ferrini morì il 17 ottobre 1902 nella villa di Suna a Verbania dopo aver contratto il tifo per aver bevuto a un ruscello durante una escursione alpina.
La fama di santità cominciò a diffondersi subito dopo la sua morte, accompagnata da voci di presunti miracoli. Nel 1905 una raccolta delle sue lettere fu consegnata a Pio X. Iniziò cosi l’indagine documentaria e biografica, in seguito portata avanti dall’Università Cattolica che lo aveva additato come esempio di santità moderna in ambito studentesco.
L’iter della causa portò l’8 febbraio 1931 all’emanazione del decreto sull’eroicità delle virtù; nel 1942 i resti mortali furono traslati a Milano e collocati in una cripta dell’università Cattolica e il 13 aprile 1947 Pio XII proclamò beato il Ferrini.
L’opera scientifica del Ferrini fu vastissima. Di particolare rilievo sono gli scritti su singoli istituti di diritto romano classico, spesso affrontati nella loro evoluzione e comparati alle figure, in parte mutate, giunte alla codificazione giustinianea.
Il Ferrini dedicò molte pagine al diritto ereditario classico (Sull’origine dei legati [1888], poi in Op., IV, pp. 139-206; Osservazioni sulla responsabilità dell’erede nel legato “per damnationem” di una “res certa” ([1900], ibid., pp. 207-216); nello scritto Ricerche sul “legatum sinendi modo” ([1900], ibid., pp. 217-236), mantenne una concezione dell’istituto come figura di transizione, intermedia tra il legatum per vindicationem e quello per damnationem. Il Ferrini in quell’occasione volle studiare quale fosse l’ambito di applicazione dell’istituto nel diritto classico, facendo tesoro di alcuni testi delle Pandette che, pur ritenendoli alterati dai compilatori, tuttavia a suo avviso ne conservavano ancora l’impronta dell’originaria natura giuridica. Numerosi studi, risalenti all’ultimo quindicennio del secolo, furono dedicati al diritto ereditario moderno, sebbene l’ottica rimanesse quella del romanista.
Un altro istituto studiato dal Ferrini in materia ereditaria fu la separatio bonorum (Note intorno alla “separatio bonorum” [1900], ibid. con il titolo Nuovi appunti…, pp. 183-192, e Appunti sulla “separatio bonorum“). Il Ferrini ricostruì la natura giuridica dell’istituto classico che considerò da doversi ritenere limitato all’eredità testamentaria, a differenza di quanto avveniva nel diritto giustinianeo in cui esso finì per essere concesso ai creditori postulanti di fronte a qualsiasi erede che fosse o si reputasse insolvente.
Nello studio delle fonti (Sulle fonti delle “Istituzioni” di Giustiniano [1901], poi ripubblicato in Opere, II, pp. 307-419), il Ferrini contribuì agli studi romanistici sostenendo la tesi che le Istituzioni giustinianee sono composte sostanzialmente alla stessa maniera dei Digesti, mediante giustapposizioni di brani tratti da opere anteriori cui i compilatori apportarono modificazioni ed aggiunte indispensabili all’esposizione di un diritto nuovo. Ne risultò che le due opere dovessero avere una differenza soltanto apparente in quanto nei Digesti i passi sono distinti fra loro e portano l’indicazione della fonte, mentre nelle Istituzioni sono collocati di continuo in modo da formare un unico discorso. A questa conclusione il Ferrini vi giunse dopo un attento studio della struttura del testo, dove riconobbe il passaggio dal frammento di Gaio a quello dettato dai compilatori.
Del Ferrini va ricordato anche il Manuale di pandette, Milano 1908, a cura di G. Baviera, opera indirizzata all’università, e il suo interesse per un campo poco percorso dalla scienza romanistica, quello del diritto penale romano, cui è dedicato il vol. V delle Opere. I principali lavori a carattere scientifico furono riuniti in cinque volumi. di Opere, ibid. 1929-30, con prefazione del Prof. Pietro Bonfante, storico del diritto romano.
Le opere del Ferrini a carattere religioso furono pubblicate postume: Gli scritti religiosi, a cura e con introduzione di C. Pellegrini, prevosto di S. Calimero e curatore della causa di beatificazione), Milano 1912; Pensieri e preghiere, a cura e con prefazione di A. Gemelli, ibid. 1960.
Don Divo Barsotti, a proposito dell’umanesimo cristiano del B. Contardo Ferrini, di lui scrive: “Ferrini non ha conosciuto peccato” per questo “in lui non c’è stato esercizio di virtù, sforzo di ascesi. Certo vi è progresso nella sua santità, ma mai conversione” […]. In Ferrini le componenti fondamentali della sua santità, dopo la vita di preghiera sono queste due (il sentimento della natura e l’amicizia). Invece le virtù che caratterizzano la sua santità sono l’umiltà e la purezza” (D. Barsotti, Tre laici e un cardinale, Ed. A.V.E. 1973, p. 15-16). “La sua spiritualità contemplativa quasi di monaco, lo sottrasse all’apostolato diretto […]. La sua preghiera e la sua sofferenza intima dovettero preparare nel disegno di Dio la nascita di una spiritualità più direttamente apostolica e impegnata nell’azione che già andava maturando nella vocazione di tanti laici cattolici che sarebbero venuti dopo di lui” (Ibid, p. 52).