di Giovanni Campanella • “Dare” è un verbo cardine della logica cristiana. Quanto più si ha, tanto più si è chiamati a dare. Implementando questa logica, i divari tra ricchi e poveri dovrebbero tendere ad assottigliarsi. Ma, come al solito, la mentalità di questo mondo sembra non seguire tale via; così le cose vanno per il verso opposto. Francesco Gesualdi, nel suo Risorsa umana – L’economia della pietra scartata (San Paolo, Cinisello Balsamo 2015), nota infatti l’aumento della forbice tra ricchi e poveri. Ad esempio, negli Stati Uniti «tra il 1993 e il 2012 il reddito dell’1% più ricco è cresciuto dell’86%. Tant’è, se nel 1993 la fetta di reddito nazionale goduta da questa esigua casta di super ricchi era del 14%, nel 2012 la troviamo al 23%» (p. 24). E nuovi esclusi scivolano nel fondo dell’economia. Il bisogno rende poi i lavoratori disposti ad accettare salari molto bassi e misere condizioni lavorative.
Un altro grande escluso è l’ambiente. E’ escluso nel senso che non si tiene conto della sua capacità di sostenere i nostri consumi. Ragionando in termini di impronta ecologica (la quantità di terra fertile utilizzata da ogni individuo per sostenere i propri consumi) e se dividiamo l’insieme delle terre fertili del mondo «per la popolazione terrestre, troviamo che ogni abitante può avere un’impronta di 1,8 ettari. Gran parte della popolazione terrestre sta sotto, ma poiché i benestanti sono largamente al di sopra, nel complesso l’impronta mondiale è di 2,7 ettari che è il 50% più alta di quella ammissibile. Non a caso l’anidride carbonica si sta accumulando nell’atmosfera, chiara dimostrazione che già oggi avremmo bisogno di un altro mezzo pianeta» (p. 75).
La prima parte del libro di Gesualdi è la “pars destruens”, in cui si denunciano (forse con eccessiva veemenza) le derive del mercato mondiale e la globalizzazione, colpevole di aver favorito gli interessi delle multinazionali e del grande capitale. La seconda parte è la “pars construens”, che indica varie iniziative provenienti soprattutto dal basso per includere chi è escluso dalla logica economica dominante e per valorizzare l’economia locale e l’ambiente. Una di queste iniziative «è quella dei Gruppi di acquisto solidale, in sigla Gas, che consistono in gruppi di famiglie organizzate tra loro per effettuare gli acquisti direttamente presso i piccoli produttori locali con lo scopo di potenziare il consumo locale e sperimentare nuove relazioni economiche. Il primo Gas nasce nel 1994 a Fidenza, in provincia di Parma, per iniziativa di alcune famiglie, critiche verso il consumismo, lo spreco, la devastazione dell’ambiente, il poco rispetto per le persone. Sapevano di non avere la forza per fare cambiare il sistema, ma erano altrettanto convinte che la coerenza può essere un grande motore di cambiamento. Pensando al cibo, venne spontanea la scelta biologica, per mantenersi in salute e sostenere un’agricoltura rispettosa della natura» (pp. 93-94). La relazione tra famiglie acquirenti e produttori è attiva e ogni famiglia ha un compito specifico a rotazione: chi raccoglie gli ordini, chi ritira la merce presso i produttori, chi la consegna, chi raccoglie i pagamenti. «Tutto in forma rigorosamente gratuita. Per questo il gruppo è definito solidale. Dopo un decennio di radicamento, c’è stato un boom dei gruppi di acquisto fino a contarne più di 700, che fanno parlare di sé non solo per la formula commerciale originale, ma anche per il rapporto nuovo con i fornitori. Non di rado gli aderenti ai gruppi rendono visita ai produttori, si interessano ai loro problemi, discutono le tecniche produttive, si confrontano sulle visioni della vita. In altre parole instaurano un rapporto di amicizia che sfocia in più trasparenza, più etica della produzione e, a volte, in forme di collaborazione originali. Per esempio può succedere che nei momenti di maggior lavoro, i produttori chiedano ai membri del Gas di dare una mano nelle attività più semplici, in cambio di prodotti gratuiti o di sconti sui prezzi. Sull’onda dei Gas sono nati anche i Gap, gruppi di acquisto popolari, con lo scopo di garantire alle fasce più deboli generi di prima necessità a prezzo ribassato» (pp. 94-95).
Troppo spesso si intende il “benessere” nel senso di “benavere”. Ma oltre una certa soglia la ricchezza non ha legami con la felicità (“paradosso di Easterlin”, p. 104). In contrapposizione al benessere/benavere, Gesualdi mutua dalle popolazioni indie delle Ande il concetto di “benvivere” cioè “vivere con pienezza”. E’ «una pienezza che si raggiunge solo se si è sostenuti dagli altri e si ha una buona vita di relazione con gli altri, non solo con i membri della comunità, ma anche con madre terra che ci nutre e ci sostiene. In definitiva, “benvivere” è sinonimo di equilibrio; è la capacità di creare armonia in tre direzioni: con se stessi, con gli altri, con la natura» (p. 109).
Nel libro si suggerisce di rafforzare il fai da te e il lavoro comunitario per ridurre la nostra dipendenza dal mercato, caratterizzato da ingiustizie e scarso rispetto per l’uomo e per l’ambiente. Tuttavia, l’invito di Gesualdi all’autosufficienza e a sganciarsi il più possibile dal mercato “ufficiale” è, a mio parere, un po’ esasperato a tratti e forse indirettamente contraddice l’invito ad impostare la vita economica sulla relazione. Inoltre, il sospetto generalizzato nei confronti delle grandi imprese (cf., tra le altre, p. 183) sembra non tenere abbastanza in considerazione i vantaggi derivanti dalle economie di scala, in termini soprattutto di riduzioni di costi. Esistono anche settori in cui una sola impresa minimizza il costo totale di distribuzione delle quantità domandate dal mercato. Sono i casi di cosiddetto “monopolio naturale” (così avviene ad esempio nel settore della distribuzione del gas naturale). D’altra parte, sembra anche esagerato l’auspicio che il settore pubblico si espanda per effettuare assunzioni di massa e combattere così la disoccupazione. Secondo il principio di sussidiarietà, propugnato dalla Dottrina Sociale della Chiesa, il pubblico non deve sostituirsi al privato ma deve dare ad esso il giusto aiuto per camminare con le proprie gambe, senza naturalmente abdicare alle sue funzioni di regolamentazione dell’economia e di gestione di servizi essenziali che il privato non potrebbe svolgere.
Condivido comunque l’appello di Gesualdi a valorizzare maggiormente il lavoro manuale e agricolo nelle scuole. Un’altra sua proposta interessante è quella di “sostituire” parte della tassazione monetaria con una “tassazione del tempo”, in modo da ridurre l’asfissiante cuneo fiscale sulle famiglie. Si tassa il tempo chiedendo di svolgere obbligatoriamente (ad esempio, attraverso il servizio civile obbligatorio per i giovani) o facoltativamente vari servizi gratuiti a favore della comunità in cambio di una riduzione consistente dell’imposizione fiscale. Per i giovani sarebbe anche una formidabile opportunità di accompagnamento all’interno del mondo del lavoro. Condivido infine l’idea di aumentare le tasse sulla pubblicità, che tanto condiziona il nostro pensiero.