«Conclave»: se Cristo e la Sua Chiesa possono ancora essere venduti per trenta denari (o poco più).

400 500 Stefano Liccioli
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di Stefano Liccioli · Il film “Conclave”, diretto da Edward Berger e tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, si aggiunge a una lunga serie di film e libri che da tempo immemore sono incentrati sulle vicende più o meno segrete o segretate che riguardano la Chiesa (come per esempio le elezioni papali). Cineasti, scrittori e artisti di ogni epoca hanno spesso cercato di raccontare questi eventi, dando vita a storie che, giocando con misteri e presunti intrighi, suscitano un grande interesse nella cultura popolare. Tuttavia, troppo spesso, queste narrazioni tendono a semplificare o, peggio, a distorcere la realtà, riducendo la complessità storica ed ecclesiale a un gioco di potere binario, privo della necessaria contestualizzazione. Il lungometraggio di Berger, uscito nelle sale italiane lo scorso dicembre, non fa eccezione. Si presenta come un dramma teso e ricco di intrighi politici, ambientato all’interno delle mura segrete del Vaticano durante il conclave che elegge un nuovo Papa. Nonostante il potenziale di una trama avvincente, il film presenta tutta una serie di limiti che ne impediscono, a mio avviso, la piena riuscita.

Uno dei difetti più evidenti di “Conclave” è la sua prevedibilità. Nonostante la suspense iniziale, la trama si snoda in modo quasi meccanico, senza colpi di scena autentici. La storia ruota attorno alla lotta per il potere all’interno della Chiesa Cattolica, ma le dinamiche tra i cardinali e i loro intrighi non sono mai sufficientemente approfondite o interessanti da suscitare un vero senso di incertezza. Sin dall’inizio mi è sembrato chiaro chi fossero i protagonisti principali e in quale direzione la trama si sarebbe sviluppata, con pochi elementi in grado di scompaginare le aspettative (s’intuisce subito che il giovane e misterioso cardinale sarà destinato a rivestire un ruolo centrale). Il film non riesce a giocare con il mistero e la segretezza che caratterizzano un conclave, perdendo così l’opportunità di dare alla storia una profondità significativa.

Un altro limite importante del film è l’uso degli stereotipi. I cardinali e i membri del Vaticano vengono presentati in modo rigido, privi di sfumature o complessità psicologica. Ogni personaggio sembra essere ridotto a una sorta di archetipo: c’è il conservatore intransigente (che non a caso si chiama “Tedesco”), il progressista idealista, il personaggio ambiguo e il cardinale più giovane, impulsivo e affascinante. Questa caratterizzazione superficiale dei personaggi li rende spesso prevedibili e per questo poco interessanti. Manca, secondo me, una vera e propria indagine sui dilemmi morali o sulle implicazioni ecclesiali e sociali della scelta del Pontefice, così come non c’è una critica originale e documentata a quei meccanismi di potere che caratterizzano la gerarchia ecclesiastica e che possono essere considerati dei mali. Non si tratta, infatti, di una scoperta degli sceneggiatori di “Conclave” che nel regno di Dio coesistano il grano e la zizzania: c’aveva già avvertito Gesù (Mt 13,24-30). E in tempi più recenti l’allora Cardinale Ratzinger nel 2005, commentando la nona stazione della Via Crucis al Colosseo, aveva scritto:«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!». Ma la Chiesa non è mai stata e non è, grazie a Dio, solo questo e anche gli osservatori più critici dovrebbero ammetterlo. Nonostante ciò gli spettatori del film di Berger vengono lasciati a guardare una sequenza di manovre politiche che appaiono più simili a una soap opera che a un vero dramma psicologico o sociale.

Detto questo “Conclave” ha anche dei pregi: grazie a un importante cast di attori e attrici (Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini) la recitazione è di alto livello, la fotografia, il montaggio e i costumi sono particolarmente apprezzabili (aspetti degni di nota che non mi sorprenderebbe se facessero vincere al film degli importanti riconoscimenti). Nonostante questi punti di forza, a mio parere, il lungometraggio di Berger s’inserisce purtroppo nel novero di tutte quelle occasioni perse che si sono limitate a raccontare storie che ruotano attorno alla Chiesa per appagare la curiosità del pubblico, senza rispondere alla complessità dei temi trattati. D’altra parte se il fine dei produttori di “Conclave” era invece quello di realizzare un film che “cucinasse” i luoghi comuni sulla Chiesa in una “salsa” cinematograficamente accattivante (fotografia, costumi, recitazione) per portare più persone possibile nei cinema e fare cassa direi che l’obiettivo è stato raggiunto considerando il fatto che il lungometraggio ha incassato finora oltre 75 milioni di dollari in tutto il mondo. Un’operazione artistica, però, che si riduce soprattutto a un progetto studiato a tavolino per fare “qualche dollaro in più” (tanto per citare il titolo di uno splendido film, questo sì) mi fa dire che Cristo e la Sua Chiesa vengono ancora venduti per trenta denari (o poco più).

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Stefano Liccioli

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