di Alessandro Clemenzia · “La realtà è tale perché mediata dal significato”. Sono parole di Bernard Lonergan, uno dei più grandi pensatori del Novecento, conosciuto per la sua elevata capacità di approfondire, in modo interdisciplinare, tematiche di natura antropologica (e non solo).
Al di là del contesto all’interno del quale il teologo canadese ha scritto queste parole, è interessante notare come il soggetto sia chiamato a vivere non nel mondo dell’immediatezza, ma attraverso la mediazione del significato, frutto di un’esperienza vissuta che gli permette di conoscere la realtà in cui è inserito.
La comunicazione mediatica svolge un ruolo essenziale nell’ambito della “formazione” e dell’“informazione”, in quanto si interpone tra le persone e una realtà che, per ovvi motivi, è impossibile conoscere sempre in modo diretto e immediato, se non appunto attraverso un significato proveniente dall’esterno, e dunque dai media. Quando, infatti, non c’è un significato che scaturisce dal proprio vissuto, esso viene assunto attraverso altre modalità: la comunicazione mediatica è effettivamente capace di offrire uno o più significati.
In questo contesto si può comprendere la forza contenuta nelle parole che Papa Francesco ha scritto in occasione della LIX giornata mondiale delle comunicazioni sociali, lo scorso 24 gennaio, “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cfr 1Pt 3,15-16)”.
In un tempo come il nostro, in cui – afferma il Papa – “la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio”, appiattendo la complessità della realtà per suscitare reazioni istintive e spesso anche aggressive, arrivando persino a manipolare l’opinione pubblica attraverso informazioni alterate o false, è necessario “disarmare la comunicazione”.
I sistemi digitali inseriscono nello sguardo conoscitivo delle persone alcune logiche del progresso e del mercato, capaci di modificare collettivamente e singolarmente la stessa percezione della realtà, per cui l’altro, chiunque esso sia, si trasforma in un nemico da combattere e distruggere, non per cattiveria, ma per salvaguardare la propria identità. E tutto ciò va a contaminare l’ambito delle relazioni a trecentosessanta gradi: il rapporto con se stessi, con gli altri, con il creato …, fino a colpire silenziosamente e spesso involontariamente anche il rapporto con il Creatore. E tutto ciò a causa del significato offerto dalla comunicazione mediatica che, interponendosi tra le persone e la realtà, va a intaccare quel desiderio di verità e di libertà in cui si innesta il dono di Dio chiamato “speranza”. La vera e urgente difficoltà sta proprio nel mostrare come il significato offerto non corrisponda alla realtà effettiva, ma ne sia semplicemente e drammaticamente una alterazione.
Papa Francesco cita lo scrittore Georges Bernanos, secondo il quale “sperano soltanto coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne, nelle quali trovavano una sicurezza e che scambiavano falsamente per speranza”. Parole molto forti che contengono anche una possibile via di uscita dalla crisi causata da un significato violento: avere il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne.
Ma come è possibile fare esperienza di questo coraggio, se ciascuno è immerso in un oceano di significati che si presentano veri e generano un costante e generale senso di sicurezza? Dove trovare la forza di uscire da una situazione di comodità che sa mescolarsi facilmente con la luce dell’ottimismo, per imbattersi in qualcosa di nuovo e sconosciuto? È evidente che con le proprie capacità sia difficile riuscirci; si ha bisogno di “maestri” capaci di scuotere le diverse generazioni e di tirarle fuori dal torpore di una ideologia, per inserirle in modo nuovo dentro una realtà, che è molto più complessa rispetto alle risposte facili e a basso prezzo che vengono offerte, e al tempo stesso è molto più semplice rispetto alle tante astrazioni concettuali dei falsi profeti.
Abbiamo bisogno di maestri che restituiscano agli uomini e alle donne di oggi uno sguardo vero sulla realtà. Ma perché tutto ciò non si trasformi in sterile utopia e porti, nell’attesa di una soluzione, a un infruttuoso atteggiamento di passività, il Papa chiede ai singoli, partendo dalla propria esperienza quotidiana, di farsi portavoce di un’altra cultura, che scaturisce non da un ottimismo cieco, volto ad anestetizzare il dramma della realtà, ma dal cercare e dal dare voce a quei piccoli gesti che sono capaci di resistere, senza soccombere, alle intemperie della vita e germinano proprio nei luoghi più impensati: “nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favelas”.
In un tempo in cui forse sembrano mancare i grandi maestri di vita di un tempo, capaci di agitare le acque dell’esistenza di intere generazioni, il Papa invita trasversalmente ciascuno a fare la propria parte: a uscire dal torpore della tranquillità e a cercare quei piccoli gesti che sono ancora capaci di riaccendere la speranza e di rendere il cuore sempre inquieto.