Diritti e lavoro. Ora l’incubo del «caporalato digitale»

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di Antonio Lovascio · Non solo precariato. Ormai stiamo assistendo a un’escalation delle condotte illecite nel mondo del lavoro, soprattutto quelle che ledono ancor più la dignità delle persone perché legate a fenomeni di sfruttamento, caporalato e tratta. Dai braccianti ai riders, alle badanti, ed ora anche la manodopera dei colossi alimentari, della grande distribuzione e della logistica riuniti in una “holding ombrello” multinazionale che in questo modo, oltre a tagliare i tempi di lavorazione, risparmia milioni su tasse e contributi, moltiplicando i profitti aziendali. Quest’ultima scoperta si chiama “caporalato digitale”: è l’algoritmo che comanda. Decide il quando, il come e il dove delle consegne da parte dei corrieri. Un meccanismo fraudolento, in grado di agire sul mercato con mezzi competitivi anche grazie all’ingente risparmio in termini di carico fiscale.
Il pentolone è stato scoperchiato, nessuna regione della nostra Penisola si salva, neppure quelle più industrializzate e ricche del Nord. Lo scandalo si è esteso a macchia di leopardo. Da Puglia, Campania, Calabria, Sicilia ha raggiunto le Langhe, passando per il Lazio. Qui ha strappato lacrime e indignazione per la drammatica morte di Satnam Singh, uno dei numerosi irregolari, per lo più extracomunitari, impiegati nella raccolta di pomodori, olive, uva e ortofrutta stagionale – per difetto si parla di almeno trecentomila – che operando in un’azienda in provincia di Latina ha perso il braccio in un incidente. Il datore di lavoro, anziché soccorrerlo e portarlo in ospedale, ha pensato bene di non chiamare l’ambulanza riportandolo davanti casa assieme all’arto amputato per evitare che emergesse la sua posizione di “irregolare”. Così, quando sono finalmente stati chiamati i soccorsi, era troppo tardi.

Sarà la giustizia ad occuparsi delle gravi responsabilità legate a questa vicenda ed al diffondersi invasivo del “caporalato digitale”. Ma intanto è ripartito il dibattito sulle vie per affrontare un problema gigantesco di cui abbiamo visto soltanto le punte affiorate per tutta la loro evidenza e crudeltà. E con esso il naturale sacrosanto appello ad una maggiore severità nei controlli. Lo auspichiamo tutti, ma senza interventi concreti rischia come in passato di essere retorica fine a se stessa. Allora tocca al Governo ed al Parlamento trovare, insieme alle Regioni, le contromisure per realizzare, partendo dall’inclusione sociale, una filiera etica che consenta a chi è sfruttato di uscire dai ghetti e ribellarsi ai caporali.

Per ora sotto gli occhi di tutti ci sono dieci anni di promesse tradite. Tavoli tecnici, commissioni, protocolli, linee guida, commissari, decreti, circolari. È infinito l’elenco dei provvedimenti formalizzati o annunciati per contrastare caporalato e sfruttamento dei lavoratori. Ma con scarsi risultati, spesso lettera morta. «Non servono nuove norme, non serve inasprire le pene. Basterebbe applicare quelle che ci sono e soprattutto fare prevenzione, partendo dall’eliminazione dei ghetti»: ha amaramente osservato il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro, tra i magistrati più impegnati nella lotta allo sfruttamento. L’ultimo provvedimento del governo riguarda proprio i ghetti, anzi i cosiddetti “insediamenti informali”. Ed è la nomina del prefetto di Latina, Maurizio Falco, a commissario per il loro “superamento”. Lo prevedeva il decreto legge 19 del 2 marzo 2024, e doveva essere nominato entro 30 giorni ma è arrivato con più di un mese di ritardo. «Sono necessari maggiori controlli da parte di ispettorato del lavoro, Inps, Inail e forze dell’ordine, ma per imprimere un’efficacia diversa è necessario un coordinamento delle forze in campo. E questa sarà una mia priorità», ha commentato Falco in un’intervista al Messaggero. Il suo compito è soprattutto di riuscire a spendere i 200 milioni che il PNRR ha destinato ai Comuni dove esistono questi insediamenti, e che ancora non sono stati spesi. Neanche un euro. Ma non è il primo commissario. Col “decreto Sud” 91 del 20 giugno 2017 vennero nominati ben tre commissari, per le aree di Manfredonia, San Ferdinando e Castel Volturno, quelle con alcuni dei ghetti più grandi e indegni. Ma poco o nulla si è mosso. Analogo destino delle “Linee-Guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza alle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura”, approvate dalla Conferenza unificata Stato/Regioni il 7 ottobre 2021. Prevede, tra l’altro, che entro sei mesi ogni regione predisponga un proprio piano. Nessuna lo ha fatto. Una brutta serie di inadempienze!

In fondo anche noi cittadini siamo inadempienti. Per la poca importanza data negli ultimi anni alle filiere etiche contro il caporalato. Ma ora che siti online riportano ogni tipo di notizia e vendono prodotti sostenibili, vincendo la nostra pigrizia possiamo contribuire a questo cambiamento di rotta attraverso il consumo responsabile. Premiando le aziende che operano nella legalità ed offrono prodotti di qualità. E’ un piccolo “sacrificio” per ridare dignità e sicurezza al lavoro, per i migranti ma pure per i nostri giovani in cerca di occupazione e spesso costretti ad espatriare. Lavoro e diritti: non a caso è stato il tema più dibattuto – insieme a Pace e Partecipazione – all’ultima Settimana Sociale dei cattolici italiani tenutasi a Trieste. Perché, come dice Papa Francesco, un Paese è realmente democratico quando assicura lavoro e diritti.

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Antonio Lovascio

Tutte le storie di: Antonio Lovascio