«Il governo della pienezza dei tempi» (Ef 1,10)

219 500 Stefano Tarocchi
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di Stefano Tarocchi · Nella lettera agli Efesini, all’interno dell’inno che si trova all’esordio («Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1,3), verso la conclusione troviamo un termine che nel testo originale nasconde la stessa radice della parola italiana “economia”: il «governo della pienezza dei tempi» (Ef 1,10).

Lo stesso termine greco, tradotto però in modo tutto differente, si trova nel capitolo 3 della stessa lettera: «io, Paolo, il prigioniero di Cristo per voi pagani … – penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore (Ef 3,1-2). nel testo originale c’è una frattura dello scritto, un vero e proprio anacoluto, dovuto alla tecnica usata dall’autore dello scritto, che dettava le sue parole ad uno scrivano, come quel Terzo, che si mette la sua firma nella lettera ai Romani (Rom 16,22).

In origine il termine oikonomia indicava l’amministrazione di una casa di una famiglia, e Paolo lo usò per il suo lavoro di promozione del Vangelo, non a sproposito visto che la Chiesa è la famiglia di Dio (1 Cor 4,1: «ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio »; 1 Cor 9,17: «se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato»; 1 Pt 4,10: «ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio»).

Nelle lettere di Paolo la stessa radice è regolarmente collegata a “mistero” (Ef 1,10; 3,2.9; Col 1,25-27; 1 Cor 4,1): «facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto».

C’è però un punto da mettere in rilievo: in Ef 1,10 l’attività o il piano non è l’opera di Paolo ma di Dio. Se Dio amministra il governo di tutte le cose, lo fa secondo il suo piano interiore, un piano che comprende la scelta e la redenzione dei credenti (vv. 4-7), nel compimento del suo progetto, nella «pienezza dei tempi». Va comunque escluso ogni riferimento al mistero dell’incarnazione, come in Gal 4,4: «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge».
Il versetto 10b riprende e rivela il contenuto del mistero che è stato conosciuto (9a); questa rivelazione costituisce il culmine verso il quale si è sviluppato l’elogio dell’autore dello scritto, che com’è noto appartiene alla tradizione paolina secondo quanto sostiene la maggioranza degli esegeti.

Il progetto divino si distende proprio in questa espressione: «ricondurre al Cristo, unico capo (o anche “ricapitolare”) quelle nei cieli e quelle sulla terra». Il medesimo verbo si trova anche in Rm 13,9: «qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: amerai il tuo prossimo come te stesso».

In questo caso il pensiero assomiglia a Col 1,20: «è piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli». Dio ha ricapitolato in Cristo tutto ciò che ha fatto: in Cristo tutto si riunisce in lui; ciò che è diviso è unificato in lui. Una bella certezza in queste stagioni in cui le divisioni e le fratture sono all’ordine del giorno!

Si può correttamente sostenere anche che l’opera divina discende fino all’interno nel suo ministero, all’“amministrazione” dell’apostolo. Questo non significa “divinizzare il ministero”, e tanto meno il ministro, con tutte le conseguenze del caso. È lo stesso apostolo a dircelo: «noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi» (2 Cor 1,24).

Colui che si considera “servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio” (cf. 1 Cor 4,1) non metterà mai sé stesso al centro, ma il Cristo al cui servizio è stato chiamato. Questa elementare rivoluzione copernicana (un ossimoro?) va messa in particolare rilievo in questi tempi in cui chi annuncia tende, più o meno consapevolmente, ad annunciare solo sé stesso: «come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?» (1 Cor 10,14).

Come dice il profeta: «io sono il Signore, fuori di me non c’è salvatore» (Is 43,11). Ma «noi stessi abbiamo udito e sappiamo che Gesù è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42).

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Stefano Tarocchi

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