Don Lorenzo Milani e la scuola: oltre le citazioni ed i luoghi comuni.

200 279 Stefano Liccioli
  • 0

di Stefano Liccioli · Non potevo lasciare che si concludesse il 2023, l’anno del centenario della nascita di don Lorenzo Milani, senza condividere alcune riflessioni sulla figura del priore di Barbiana e, soprattutto, sull’esperienza della sua scuola. Non lo potevo fare non tanto perché i lettori de’ “Il mantello della giustizia” attendessero insonni questo mio articolo, ma perché anche in questa importante ricorrenza ci tenevo a ribadire la mia convinzione sull’unicità e la non replicabilità del modello educativo di Milani nel nostro sistema d’istruzione. Questo mio convincimento mi deriva da un breve colloquio che oltre quindici anni fa ebbi con Adele Corradi, l’insegnante collaboratrice di don Milani nella scuola di Barbiana. Io, che all’epoca ero agli inizi del mio percorso professionale di docente, chiesi alla Prof.ssa Corradi se il modo di fare scuola di don Lorenzo fosse riproducibile nei nostri istituti. La sua risposta fu negativa: il “non bocciare”, mi disse per esempio, aveva un senso nel contesto barbianese, dove, tra le varie cose, “si studiava dodici ore al giorno, 365 giorni l’anno”. Spero, dunque, di non aver travisato il senso delle parole della Corradi se ancora oggi penso che il regalo più grande che si possa fare a don Milani per questo suo anniversario sia quello di smettere di approcciarsi a lui à la carte, scegliendo cioè quello che piace di più dei suoi scritti, delle sue idee, tralasciando invece quello che non concorda con le proprie aspettative o convinzioni. La scuola di Barbiana rappresenta un unicum che non può essere trasposto così com’è nel nostro sistema nazionale d’istruzione, ma che non può essere neanche “smembrata” ed emulata solo quando e come torna meglio. In questa prospettiva il citazionismo esasperato è un altro dei grandi problemi di cui è vittima don Lorenzo: spesso le persone lo citano per dar forza alle loro tesi, si richiamano alle sue idee pedagogiche, ma decontestualizzandole dalle circostanze in cui esse sono maturate. Lasciare la scuola di Barbiana “sul monte” non significa non studiarla o confinarla in un eterno esilio, bensì conservarla nel suo ruolo di profezia, di provocazione e di punto di riferimento proprio come la città collocata sopra un monte del Vangelo che non può restare nascosta. A mio parere confrontandoci con “Esperienze pastorali” o “Lettera ad una professoressa” non dobbiamo chiederci cosa di quello che leggiamo possa essere applicato ancora oggi nei nostri istituti scolastici o ambienti educativi, ma come ed in che misura le istanze indicate da don Milani siano valide ancora oggi. Quali sono, per esempio, nelle nostre scuole ed in generale nella nostra società gli ultimi che “non hanno parola” e che un tempo trovavano spazio solo nella canonica di Barbiana? Quanto le nostre scuole sono ancora come quelli «ospedali che curano i sani e respingono gli ammalati» o che «fanno parti uguali fra disuguali»? In che modo, adesso, gli adulti s’interessano dei giovani, in particolare di quelli più fragili? In quale misura gli insegnanti e gli educatori si preoccupano del modo in cui essere per fare scuola piuttosto dei metodi con cui fare scuola? Sono solo alcuni degli interrogativi che l’esempio milaniano può ancora suscitare e che possono continuare a provocarci e scuoterci nel nostro essere e pensarci come educatori. A proposito del don Milani meno (forse volontariamente) citato e conosciuto ricordo invece volentieri una lettera del Priore di Barbiana datata 9 marzo 1961 ed indirizzata al direttore del periodico umbro Giornale Scuola. In alcuni passaggi della lettera Milani scrive:«Certo è che oggi lo scandalo più grosso non è che pochi ebrei o protestanti come contribuenti siano costretti a aiutare anche qualche scuola di preti, ma piuttosto che milioni di contribuenti cristiani e poveri siano costretti come contribuenti a finanziare una scuola di stato profondamente anticristiana, profondamente antioperaia e anticontadina». Ed ancora:«Non muoverei dunque oggi un dito in favore della scuola di stato dove non regna nessuna ‘libertà di idee’, ma solo conformismo e corruzione. Non c’è dubbio per me che sarebbero migliori quelle dei preti perché l’amore di Dio è in sé migliore che la coscienza laica o l’idea dello stato o del bene comune». Infine:« La scuola di Barbiana ha 20 allievi, nessuno figlio di papà, è dei preti, non ha dallo stato nessuna sovvenzione, ma anzi aperta opposizione ed è senza ombra di dubbio l’unica scuola funzionante di tutto il territorio della Repubblica. Non sono professionalmente qualificate? A Firenze per esempio non è neanche da mettersi in discussione il dato di fatto che l’unica scuola socialmente e tecnicamente progredita è una scuola di preti: la Madonnina del Grappa. Il fatto che lo Stato coi soldi dei contribuenti non l’aiuti è semplicemente scandaloso». Sono parole scomode non solo per l’epoca, ma per tutti quelli che ancora oggi brandiscono l’esempio di don Milani (nella sua scuola popolare di Calenzano non aveva il crocifisso, piace ricordare) contro gli istituti scolastici gestiti da congregazioni religiose. Mi sento di poter dire che la lettera di don Lorenzo vada piuttosto nella direzione di quella libertà educativa che ancora manca in Italia. Infatti le famiglie che vogliono scegliere per i loro figli e le loro figlie le scuole pubbliche non statali sono costrette a pagare una retta. Non voglio, in questa sede, trattare il problema dell’incompiuta parità scolastica in Italia (raro caso, insieme alla Grecia, in Europa), mi preme solo mettere in evidenza come in una società come la nostra in cui si reclama libertà per tutto (non far nascere, morire, far uso di droghe, cambiare identità di genere) l’unica libertà che non possa richiesta richiesta in modo completo sia quella educativa.

image_pdfimage_print
Author

Stefano Liccioli

Tutte le storie di: Stefano Liccioli