Per un ripensamento del pensiero

200 201 Alessandro Clemenzia
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di Alessandro Clemenzia · In un’epoca ecclesiale, quale quella odierna, non mancano articoli e libri che riflettono sul modo in cui la teologia può ancora oggi offrire un suo peculiare e decisivo contributo. Circa un mese fa, il 1° novembre per la Solennità di tutti i Santi, è uscita una lettera apostolica in forma di “motu proprio”, Ad theologiam promovendam, con cui Papa Francesco ha approvato i nuovi statuti della Pontificia Accademia di Teologia. Nel documento appare chiaro come il teologo non possa limitare la sua indagine riproponendo «astrattamente formule e schemi del passato»; è necessario riformulare il pensiero, tenendo conto del fatto che «a una Chiesa sinodale, missionaria ed “in uscita” non può che corrispondere una teologia “in uscita”». Ma cosa si intende per “teologia in uscita”? Certamente si tratta di un’immagine con la quale si esorta l’esperienza teologica a vivere una costante apertura «al mondo, all’uomo nella concretezza della sua situazione esistenziale, con le sue problematiche, le sue ferite, le sue sfide, le sue potenzialità». È un atteggiamento diametralmente opposto ad una riflessione autoreferenziale, che ha come punto di arrivo e termine di paragone unicamente la realtà ecclesiale; per questa ragione la teologia, più che occuparsi di questioni che riguardano le situazioni “ad intra”, dovrebbe orientarsi costantemente verso un’umanità che, con tutte le contraddizioni del quotidiano, non cessa di desiderare l’incontro con qualcosa di vero e di eterno.

Ma quali sono le caratteristiche che la teologia deve acquisire per essere all’altezza di un tale compito? In primo luogo, spiega il Papa, deve essere una teologia fondamentalmente contestuale, ossia capace di muoversi dal di dentro dei diversi ambienti geografici, sociali e culturali. In altre parole: una teologia incarnata nella storia. L’archetipo di questa immersione nella realtà viene rintracciata dal Documento proprio nell’evento dell’Incarnazione del Logos divino, il quale, pur essendo Dio e rimanendo sempre tale, è entrato in una tradizione particolare.

Per questo è necessaria una teologia capace di svilupparsi in una cultura del dialogo e dell’incontro. Non si tratta di un progetto di natura pastorale, in quanto è qualcosa di davvero intrinseco alla stessa creatura umana. Il compito della teologia, spiega ancora il Papa, è proprio quello di cogliere, come ha già affermato nel Proemio della Veritatis gaudium, l’impronta trinitaria in tutto ciò che è umano. Tale dinamica relazionale è chiamata a forgiare anche lo stesso statuto epistemico della teologia, ragione per cui l’interdisciplinarità e la transdisciplinarità non possono essere considerate come qualcosa di estrinseco alla teologia, in quanto fanno parte della sua stessa natura. Naturalmente questa tensione relazionale trova nell’esperienza ecclesiale la sua più reale ed efficace possibilità d’esistenza. Per questo Francesco ritiene essenziale anche la dimensione sinodale e comunionale del fare teologia, che si invera soprattutto attraverso un autentico esercizio comunitario del pensare. Per il raggiungimento di tutto ciò, egli sottolinea, è «importante che esistano luoghi, anche istituzionali, nei quali vivere e fare esperienza di collegialità e fraternità teologica».

Soltanto dall’esperienza di una vera comunione, come luogo del fare teologia, possono scaturire, non soltanto nuovi contenuti da esplorare, ma anche quel «ripensamento del pensiero» fortemente auspicato per l’oggi della Chiesa, per non finire con l’interpretare la realtà con uno sguardo incapace di coglierne la sua portata veritativa. Tale sguardo attento sulle cose è ciò che conferisce un “timbro” pastorale alla teologia, oltrepassando quelle inutili contrapposizioni tra teoria e pratica, tra pensiero e vita. Lo sforzo della teologia deve essere quello di salvaguardare la fede dei piccoli, valorizzando «il sapere del senso comune della gente che è di fatto luogo teologico nel quale abitano tante immagini di Dio, spesso non corrispondenti al volto cristiano di Dio, solo e sempre amore».

Per questa ragione la teologia «si pone al servizio della evangelizzazione della Chiesa e della trasmissione della fede, perché la fede diventi cultura, cioè ethos sapiente del popolo di Dio, proposta di bellezza umana e umanizzante per tutti», evitando – per fini banalmente ideologici – di aggrovigliarsi in se stessa, come un pensiero radicalmente autoreferenziale.

La teologia è così chiamata a favorire la fede, e non a supportare l’opinione pubblica ecclesiale, per non rischiare di interpretare i bisogni reali della gente attraverso le proprie categorie, con l’unico fine di affermare se stessa.

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