Bernardo di Chiaravalle, il combattente di Dio

219 300 Francesco Vermigli
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Z_CAP005_052di Francesco Vermigli Bernardo di Chiaravalle, chi era costui? Se non siamo al livello del Carneade di don Abbondio, tuttavia c’è il rischio che il nome di questo abate sia ricordato solo per una preghiera alla Madonna che il divin poeta ci presenta recitata dal Nostro alla fine del suo capolavoro. Oppure, potrà esser capitato che un qualsivoglia appassionato di quel medioevo che risuona dei nitriti dei cavalli e dello sferragliare delle armi dei cavalieri, si sia imbattuto nel nome di questo asceta, alla predicazione della seconda crociata. Il teologo attento alla storia della teologia, infine, se lo ricorderà protagonista della vicenda dolorosa e complicata della condanna degli scritti di Abelardo. Insomma, quando il medio lettore pensa a Bernardo apre – per così dire – una serie di link a: Maria Vergine, Dante, una certa iconografia, crociate, Abelardo… Ma Bernardo fu molto più di questo.

Perché il secolo XII può ben dirsi il “secolo di Bernardo”, lui che nacque attorno al 1090 e morì il 20 agosto del 1153. In effetti, sulla sua figura convergono tutte le energie di questa stagione straordinaria che annuncia e prepara l’epoca della Scolastica e delle Università, degli ordini mendicanti e delle autonomie cittadine. Bernardo è figlio di quella regione che nel nome Borgogna (da Burgundi) porta iscritta una storia diversa dal resto della Francia. Appartiene alla piccola nobiltà cavalleresca della zona; e c’è da chiedersi se quel temperamento battagliero che le cronache dell’epoca e i suoi scritti ci trasmettono, non debba molto a questa sua origine. Succede che questo giovane rampollo dell’aristocrazia borgognona attorno al 1113 decida di incamminarsi sulla strada della vita religiosa e abbracciare il monachesimo cisterciense; quel monachesimo che prende il nome da Cistercium, cioè dal luogo in cui un gruppo di monaci andava sperimentando da una ventina d’anni una religio riformata rispetto alla tradizione benedettina, in modo particolare rispetto alla forma di vita cluniacense. Zelanti agiografi ci faranno sapere in seguito che tale scelta e la fortuna che il monachesimo bianco avrebbe riscosso durante la vita di Bernardo, erano state preannunciate alla madre in forma allegorica in un sogno, mentre ancora era incinta del figlio. Perché, in effetti, quando Bernardo giunge a Cistercium / Cîteaux lo slancio originario della riforma monastica pareva già essersi estinto; ma il giovane borgognone – oltre a doti personali che ben presto avrebbe dimostrato – portò una trentina circa di amici e parenti a rimpinguare l’esausta comunità religiosa. Poco dopo il suo ingresso a Cîteaux fu mandato dall’abate a fondare una nuova comunità, quella di Clairvaux (italianizzata in Chiaravalle) che – assieme alle decine di altri monasteri collegati a questa fondazione – resterà per sempre segnata dalla figura e dal nome di Bernardo.

Ed è in questo ambito monastico riformato che l’abate esercitò anche la sua arte letteraria, che nel panorama della cultura mediolatina si distingue per tratti inconfondibili: quel tono oratorio, cioè, quella trama intrecciata di riferimenti biblici, quello stile mai piano, ma avvolgente, debordante di immagini e suggestioni; e poi quel ritornare continuo su tematiche ascetiche, l’invito lanciato ai monaci ad avere presente da dove provengono e a vedere con l’occhio di una tenace speranza la meta a cui tendere; e nel cammino che unisce l’origine e la meta l’esortazione a resistere nella fatica, ché quel cammino conduce a partecipare alla stessa Gerusalemme dei cieli. Perché, per Bernardo, chi entra al Cistercio è già in qualche modo cittadino della città celeste, separato dai santi e dagli angeli solo dalla pesantezza del corpo terrestre: all’arcivescovo di Lincoln fa sapere in una lettera che un tale Filippo prete di quella diocesi che era partito per la Terrasanta, si era fermato a Chiaravalle; ma così facendo – aggiunge Bernardo – ha raggiunto la meta tanto desiderata, non la Gerusalemme terrena, ma quella dei cieli, eterna, madre nostra.

Eppure quell’appassionato delle gesta della cavalleria medievale e delle crociate che abbiamo immaginato sopra, potrebbe far notare la contraddizione con i dati della biografia di Bernardo di cui è a conoscenza: perché, sì, Bernardo affermava la superiorità della religio cisterciense, ma predicò il pellegrinaggio armato nei Luoghi Santi. Oppure lo storico della teologia potrebbe far notare lo stridente contrasto tra la pacifica vita claustrale e l’intraprendenza un poco guascona e furbesca con cui risolse la questione-Abelardo. Ma sappiano – tanto l’ipotetico appassionato di crociate, quanto l’eventuale storico della teologia – che sono in buona compagnia, se Bernardo definì se stesso la “chimera del suo mondo”, un essere che viene additato da tutti come bizzarro; come accade ad un monaco che passò metà della sua vita a promuovere la crociata, a combattere le eresie, a ricomporre gli scismi, a sedare le intemperanze teologiche. Perché questo fu Bernardo: monaco, sì, ma anche pellegrino per le strade di un mondo molto più vasto del suo monastero.

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Francesco Vermigli

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