di Leonardo Salutati • Nel V capitolo dell’enciclica Laudato si, nel IV paragrafo dedicato a Politica ed economia in dialogo, al n. 193 riflettendo sul tema dello «sviluppo sostenibile», Papa Francesco osserva che sono maturi i tempi per «una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti», richiamando a proposito Benedetto XVI che, nel Messaggio per la giornata mondiale della pace del 2010, rilevava la necessità «che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni del suo uso». In questa sua considerazione Benedetto XVI riprendeva quanto già espresso nellaCaritas in veritate (n. 49) che, a sua volta, si rifaceva ad affermazioni di Giovanni Paolo II nel Messaggio per la giornata mondiale della pace del 1990 e di Paolo VI nella Populorum progressio.
Queste precisazioni per dire che il parlare di Papa Francesco di «decrescita» merita qualche puntualizzazione, per evitare di cadere nell’equivoco di ritenere che il pontefice sposi la teoria della decrescita. Infatti per il contesto in cui è inserito il termine “decrescita” sarebbe più corretto dire “redistribuzione” (Zamagni), in quanto la teoria della decrescita vuole essere piuttosto una critica ai processi economici attuali che determinano il superamento della capacità di carico della Terra, con un giudizio fortemente negativo sulle tendenze socio-economiche del mondo intero, che arriva lapidariamente alla condanna dello sviluppo: non di un certo tipo di sviluppo, identificabile magari con il liberismo più estremo, ma proprio dello sviluppo come tale (S. Latouche, W. Sachs, L. Brown, M. Wackernagel). In particolare nel movimento della decrescita troviamo un’”anima conviviale”, che richiama ad una civiltà non dominata dal principio di razionalità strumentale e che non vuole che tutto sia organizzato per settori funzionali e per corpi professionali. In breve si tratta di un’ideologia efficace in fase critica, ma non in fase propositiva, che da adito a galassie di esperienze economico-sociali scoordinate, caratterizzate da precarietà e frammentazione, nella convinzione che tutti indistintamente devono “decrescere” per evitare la miseria di tanti ed essere così più felici (Latouche).
La proposta del Papa è chiaramente di altro tipo. Essa mira a promuovere uno sviluppo «sostenibile e integrale» (LS 13), chiedendo espressamente ai Paesi con più mezzi di esercitare la solidarietà. Una categoria fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa, che già Paolo VI aveva declinato con modalità analoghe a quelle di Papa Francesco quando al n. 47 diPopulorum progressio, ricordando che l’esercizio della solidarietà internazionale esigeva «molta generosità, numerosi sacrifici e uno sforzo incessante», invitava ciascuno ad esaminare «la sua coscienza, che ha una voce nuova per la nostra epoca», per verificare se fosse «pronto a sostenere col suo denaro le opere e le missioni organizzate in favore dei più poveri… a sopportare maggiori imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il loro sforzo per lo sviluppo… a pagare più cari i prodotti importati, onde permettere una più giusta remunerazione per il produttore… a lasciare, ove fosse necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle giovani nazioni».
Pertanto Papa Francesco non è contro lo sviluppo e l’economia di mercato, ma contro una «tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi» (LS 21); contro un mercato che non è capace di contrastare «la cultura dello scarto», di recepire «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta», di considerare «che tutto nel mondo è intimamente connesso», di accogliere «l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso», di stimare «il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale» (LS 16).
Nel solco della grande e tradizionale visione sociale cristiana, è un invito a riformare il modello di sviluppo sociale e globale e un monito a considerare che lo sviluppo umano o è integrale oppure non è sviluppo.