di Giovanni Pallanti · Il 23 agosto 1923, cento anni fa, morì per mano fascista ad Argenta (Ravenna), don Giovanni Minzoni. Era nato il 1 luglio del 1885. Subito dopo essere diventato parroco del centro agricolo emiliano, fu chiamato alle armi e partecipò attivamente alle vicende belliche del primo conflitto mondiale. Don Giovanni Minzoni era un sacerdote di quella generazione attentissima alla dottrina sociale della Chiesa. Molti giovani sacerdoti come lui presero sul serio le encicliche sociali di Leone XIII e si dedicarono fin dai primi anni del Novecento, ad attività sociali e culturali, che furono il fondamento della prima Democrazia Cristiana. Una figura di riferimento per questi giovani cattolici, laici e preti, fu don Romolo Murri, a cui guardarono con attenzione e partecipazione sacerdoti come don Luigi Sturzo e laici come Alcide De Gasperi. Durante il pontificato di Pio X, molti di questi giovani furono perseguitati, accusati di <modernismo>, un reato mai ben definito e che colpiva tutti coloroche con l’impegno sociale e culturale, mettevano a rischio gli interessi materiali, soprattutto, materiali, dell’alto clero e, secondo loro, della Chiesa in generale. Don Giovanni Minzoni apparteneva a questa schiera di giovani preti come un altro grande parroco della storia della Chiesa cattolica in Italia, don Primo Mazzolari e don Olinto Marella, quest’ultimo per lungo tempo perseguitato, sospeso a divinis, costretto a una vita raminga come docente laico di filosofia nei licei, e riammesso al sacerdozio dopo la seconda guerra mondiale, dal cardinale arcivescovo di Bologna, Nasalli Rocca di Conegliano, e recentemente proclamato beato da papa Francesco. L’unico <reato> che costò tante umiliazioni a don Marella, fu quello di essere amico di don Romolo Murri.
Entrato nei ranghi dell’esercito italiano, don Minzoni concepì il servizio militare da cappellano, come una prova di patriottismo che compensava la lunga assenza dalla vita politica italiana dei cattolici, dalla presa di Roma del 1870 fino al 1915. Furono tanti quelli come lui, che vissero la prima guerra mondiale come Quarta guerra di Indipendenza, fra questi Igino Giordani, Giuseppe Donati, Giovanni Gronchi, Attilio Piccioni e Giosuè Borsi. Questi, ad eccezione di Borsi che morì in combattimento nel 1915, furono fra l’altro dirigenti del Partito popolare di don Luigi Sturzo, a cui aderì, nel 1919, anche don Minzoni. Durante la Grande guerra, don Minzoni compì un’azione eroica, squisitamente militare, alla testa di un reparto di arditi rimasto senza ufficiali, che erano morti in combattimento, li guidò all’assalto di una postazione austriaca catturando numerosi prigionieri e due mitragliatrici. Perciò fu decorato di medaglia d’argento al valor militare.
Come già detto, nel 1919 aderì al partito di don Sturzo, e si schierò sin dal primo dopoguerra contro il nascente fascismo. Il suo essere prete, schierato dalla parte dei contadini, iscritto al partito popolare italiano ed eroe di guerra, lo fece diventare quanto di più temibile potesse essere, in quel contesto storico, un avversario del fascismo, che si proclamava il partito dei combattenti della Grande guerra. Don Minzoni fu ucciso il 23 agosto di cento anni fa per tutte queste ragioni, che facevano di lui un simbolo rinnovatore del cattolicesimo e della politica italiana del Novecento. Un avversario del fascismo e di ogni totalitarismo. Giuseppe Donati, direttore del Popolo, organo del Ppi, fece una grande battaglia giornalistica per accusare il quadromviro Italo Balbo, di essere il mandante dell’omicidio di don Minzoni. Invano, perché, come era prevedibile, Balbo fu assolto da ogni accusa. Rimane il fatto, storicamente certo, che don Minzoni fu assalito a bastonate, che gli procurarono la frattura del cranio, da due sicari fascisti vicini a Italo Balbo. Don Giovanni Minzoni è ancora oggi un grande punto di riferimento per tutti coloro che credono che i cristiani debba essere sempre dalla parte del popolo, della libertà e della democrazia.