Giorgio La Pira e la «Pacem in terris»

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di Andrea Drigani – L’Enciclica «Pacem in terris» fu pubblicata l’11 aprile 1963 ed il suo autore, San Giovanni XXIII, moriva il 3 giugno del medesimo anno.

In questi sessanta anni la riflessione e l’azione per la pace sono divenuti sempre più complessi e complicati, poiché le guerre, anche se spesso oscurate o dimenticate, non sono cessate, anzi sono proliferate ed accresciute fino ai giorni nostri con l’aggressione russa dell’Ucraina che vede il coinvolgimento di numerosi Stati.

Questa drammatica e pericolosa situazione bellica, che potrebbe avere come sbocco l’eventuale uso di armi nucleari, vede svilupparsi, sia pur con fatica, diverse iniziative di mediazione, non ultima quella della Santa Sede.

In tale contesto politico-diplomatico, che potrebbe apparire, paradossalmente, speranzoso e disperato, mi piace ripresentare il commento di Giorgio La Pira, all’epoca sindaco di Firenze, sulla «Pacem in terris».

La Pira in una dichiarazione alla RAI, rilasciata il giorno dopo la pubblicazione dell’Enciclica, rilevava che quest’ultima si presentava come il manifesto del mondo nuovo, nel quale Giovanni XXIII invitava tutti gli uomini e tutti i popoli a dare il loro contributo per l’edificazione della nuova casa mondiale dei popoli; per Giorgio La Pira si potevano scorgere nella «Pacem in terris» tre idee direttrici.

La prima idea è quella dell’unità organica, e perciò articolata e solidale, dell’intera famiglia delle nazioni. Il corpo della famiglia umana – proseguiva La Pira – è unitario come è unitario il corpo intero della creazione. Inoltre osservava la coincidenza non casuale, ma voluta con la ricorrenza del giovedì santo, nel quale era stata pubblicata l’Enciclica, cioè nel giorno dell’istituzione dell’Eucaristia, sacramento dell’unità della Chiesa e dell’illuminazione dei popoli.

La seconda idea, che La Pira definiva «profetica» e storica, era dovuta alla constatazione del fatto che il genere umano era entrato in una stagione totalmente nuova e di dimensioni sconfinate. La guerra – continuava – La Pira era fisicamente impossibile, sotto pena della distruzione stessa della terra. Pertanto il negoziato, il disarmo sono inevitabili, anzi, provvidenzialmente, non sussiste alternativa al negoziato e alla pace.

La terza idea partiva dalla considerazione che la nuova casa mondiale dei popoli per essere ben costruita e attraversare in pace i secoli ed ospitare in pace le generazioni, era necessario che poggiasse sopra una roccia. La roccia infrangibile ed immutabile della natura umana: una natura ferita da peccato, ma sanata ed elevata dalla grazia e dalla gloria. In questa natura umana – aggiungeva La Pira – e nelle sue leggi immutabili, si radicano in tutti i tempi e per tutti i popoli i diritti ed i doveri essenziali tanto della persona quanto della società. La nuova casa mondiale – ribadiva La Pira – doveva essere costruita sulla roccia della natura umana e non sulla sabbia delle ideologie.

L’età della divisione e della guerra – concludeva – è per sempre finita, quella del dialogo e della collaborazione fra tutti gli uomini e tutti i popoli è perciò aperta; bisogna ora avere l’ardimento di cominciare questa edificazione nuova, destinata ad accogliere tutte le generazioni e ad attraversare davvero una serie indefinita di secoli.

Dopo sessant’anni dalla «Pacem in terris» forse abbiamo cominciato ad edificare, ma di certo dobbiamo continuare.

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