di Giovanni Pallanti – Il 22 maggio scorso è stato il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni. Aveva 88 anni. Nel 1827 prese casa in un bel palazzo al numero 4 del Lungarno Corsini a Firenze, in faccia al fiume. La lapide che ricorda la sua permanenza, per pochi mesi, dice che il grande scrittore venne a sciacquare i “cenci in Arno”. In realtà era venuto per acquisire l’idioma toscano ormai ritenuto la colonna portante della lingua italiana. Nel 1821 aveva cominciato a scrivere I Promessi sposi, uno dei più grandi romanzi dell’Ottocento, dove Manzoni racconta i caratteri antropologici, culturali e storici di chi popolava (e popola) la penisola italiana. Racconta la storia di un boss, don Rodrigo, che piega la legge ai suoi voleri e al desiderio di prendersi la giovane Lucia, promessa in sposa al giovane Renzo. Siamo sul lago di Como, ma potrebbe essere una storia ambientata in Italia, e in qualche altro posto del mondo, dove un privato cittadino, ricco e circondato da killer, si compra avvocati e uomini politici, gabbando le leggi: le famose “grida” che il Manzoni ricorda, erano le leggi che il governatore spagnolo di Milano promulgava in continuazione contro la criminalità e che venivano tutte completamente ignorate da chi doveva farle rispettare.
I Promessi sposi del grande scrittore lombardo, sono una diagnosi oggettiva delle difficoltà delle istituzioni, nel far rispettare una legge uguale per tutti. Quando Alberto Moravia diceva che il capolavoro manzoniano era scritto bene, ma si reggeva su una piccola storia, non aveva capito quasi nulla. Molto di più capirono di Manzoni e del suo capolavoro, Carlo Emilio Gadda e Leonardo Sciascia. Il quale diceva che I Promessi sposi erano una grande storia disperata, da leggere continuamente. Il soggiorno di Manzoni a Firenze, gli servì per stendere definitivamente il romanzo in un italiano ancora oggi esemplare.
Manzoni è stato anche un grandissimo intellettuale cattolico, venato dalla corrente transalpina giansenista: era cioè per un cattolicesimo spogliato di ogni potere terreno, e soprattutto vissuto senza quelle ipocrisie che hanno caratterizzato per lungo tempo, e caratterizzano ancora oggi, il modus vivendi di molti cattolici. Il conte Alessandro Manzoni fu un grande patriota, gli stessi Promessi sposi si possono leggere come un manifesto di riscossa nazionale, ma fu, come senatore del Regno d’Italia, favorevolissimo a Roma capitale, in contrapposizione con il Papa Pio IX che voleva garantire a sé e ai suoi successori, il trono dello Stato pontificio. Manzoni anticipò di cento anni quello che scrisse san Paolo VI il 20 settembre 1970 al presidente della Repubblica, Saragat: è stata una grazia divina la perdita del potere temporale della Chiesa, che ha reso più forte la sua missione spirituale nel mondo.