di Andrea Drigani · Il Discorso di Papa Francesco, pronunciato lo scorso 18 febbraio, ai partecipanti ad un corso di formazione per operatori del diritto, promosso dalla Rota Romana, è stata l’occasione per un rinnovato invito a riflettere sull’autentico significato del diritto canonico.
Vorrei anzitutto proporre un’osservazione; quando si parla di «operatori del diritto», a mio parere, non si deve intendere soltanto coloro che, appunto, operano nelle curie diocesane e religiose, o nei tribunale ecclesiastici, ma tale termine si può estendere anche a tutti i fedeli che in vari modi e gradi operano col diritto della Chiesa alla quale si appartiene con la recezione del Sacramento del Battesimo.
Francesco, all’inizio della sua allocuzione, ha rilevato che sovente siamo abituati a pensare che il diritto canonico e la missione di diffondere la Buona Notizia di Cristo siano due realtà separate, invece è essenziale comprendere il nesso che le unisce all’interno dell’unica missione della Chiesa, poiché non c’è diritto senza evangelizzazione né evangelizzazione senza diritto.
Il Papa ha ricordato che il nucleo essenziale del diritto canonico riguarda i beni della comunione, anzitutto la Parola di Dio e i Sacramenti. Rilevando che ogni persona e ogni comunità ha diritto all’incontro con Cristo, come afferma il canone 213 del Codice di Diritto Canonico: «I fedeli hanno diritto di ricevere dai Sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti».
Pertanto – ha proseguito Francesco – le norme e gli atti giuridici devono favorire l’autenticità e la fecondità del diritto all’incontro con Cristo, anche alla luce di quanto dichiara l’ultimo canone del «Codex» (cfr. canone 1752) quando afferma che la legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime.
Il diritto canonico è dunque intimamente legato alla vita della Chiesa, come un suo aspetto necessario, quello, cioè, della giustizia nel conservare e trasmettere i beni salvifici.
Evangelizzare diviene, così, l’impegno giuridico primordiale, sia dei Pastori sia di tutti i fedeli. A tal scopo il Papa ha osservato la differenza tra un pastore e un chierico di Stato. Il primo va per evangelizzare e dà compimento a questo diritto primario; il secondo, una sorta di curato di corte, svolge una funzione, ma non soddisfa il diritto che hanno i popoli di essere evangelizzati.
La missione del canonista – ha detto ancora il Papa – non è un uso positivistico dei canoni per cercare soluzioni di comodo ai problemi giuridici o tentare certi equilibrismi. In tal modo si metterebbe a servizio di qualsiasi interesse, oppure cercherebbe di intrappolare la vita in rigidi schemi formalistici che trascurano i diritti e doveri dei fedeli, elencati nei canoni 208-222 del Codice di Diritto Canonico.
Francesco ha fatto presente che non bisogna dimenticare il principio più grande, quello dell’evangelizzazione: la realtà è superiore a qualsiasi idea, e questa realtà va servita con il diritto.
La grandezza di tutti coloro che operano nel diritto ecclesiale emerge da una visione in cui la normativa canonica, senza dimenticare l’equità del caso singolo, viene attuata mediante le virtù della prudenza giuridica che discerne il giusto concreto. Si deve arrivare dall’universale all’universale concreto e al concreto. Questa è la via della saggezza giuridica.
Il Papa ha, infine, ricordato che per bene operare nell’ambito del diritto canonico occorrono: scienza, capacità di ascolto e preghiera. In tal modo non si trascurano né le comuni esigenze di bene comune inerenti alle leggi né le dovute formalità degli atti, ma tutto si colloca entro un vero servizio alla giustizia.