di Leonardo Salutati · Lo scorso 24 settembre Papa Francesco ha incontrato ad Assisi i partecipanti ad Economy of Francesco, il movimento internazionale lanciato dallo stesso Papa nel maggio 2019, che raccoglie giovani economisti, imprenditori e change-makers, provenienti da più di 100 Paesi, impegnati in un processo di riflessione e dialogo per l’elaborazione di una nuova economia.
A loro si è rivolto con una profonda e articolata riflessione dove ha ribadito, tra le altre cose, che l’attuale situazione mondiale richiede nuovi paradigmi economici che mettano al centro i poveri, l’ambiente e il lavoro.
Constatando che in molti, di tutti i continenti, si sono messi insieme con lo stesso obiettivo, dando vita ad una comunità che rende possibili «cose grandi, persino sperare di cambiare un sistema enorme e complesso come l’economia mondiale», il Papa ha sottolineato che «oggi parlare di economia sembra quasi cosa vecchia: oggi si parla di finanza, e la finanza è una cosa acquosa, una cosa gassosa» qualcosa di cui fare attenzione perché ha tradito la sua funzione originaria.
La finanza infatti come categoria economica costituisce un fattore essenziale per il buon funzionamento dell’economia. Essa consente alle imprese di prendere denaro a prestito o di cercare capitali sui mercati azionari per realizzare i propri investimenti. Permette agli stati di collocare i titoli del debito pubblico sui mercati internazionali per reperire fonti di finanziamento e per favorire gli investimenti pubblici che hanno la funzione di accrescere o mantenere i beni capitali del Paese, mediante progetti capaci di generare un valore netto positivo o un tasso interno di rendimento maggiore del tasso di interesse pagato. A loro volta gli investitori sui mercati finanziari o gli acquirenti dei titoli del debito pubblico sono per la maggior parte i fondi pensione dei lavoratori americani o giapponesi o europei, compresi i fondi di previdenza complementare dei lavoratori italiani, i fondi di investimento che gestiscono il denaro dei piccoli risparmiatori di tutto il mondo, i cui gestori sono consapevoli di dover operare con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei partecipanti ai fondi e dell’integrità del mercato, evitando di mettere in atto comportamenti ambigui e dannosi per i risparmiatori, in modo da non minare la credibilità delle Società di gestione del risparmio come tali.
Per questo, analogamente a quanto affermato da S. Giovanni Paolo II riguardo alla globalizzazione, potremmo dire della finanza che «a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. Nessun sistema è fine a se stesso ed è necessario insistere sul fatto che (…) come ogni altro sistema, deve essere al servizio della persona umana, della solidarietà e del bene comune» (Giovanni Paolo II, 2001). Ci sono, infatti, anche la “cattiva finanza”, i “cattivi finanzieri” e le ricchezze eccessive accumulate attraverso attività finanziarie spregiudicate, che non hanno trovato sufficiente argine in una struttura economica globale con regole che salvaguardino decisamente il bene comune nazionale e internazionale e garantiscano l’equità delle operazioni. Infatti l’eccessiva deregolamentazione dei mercati finanziari internazionali iniziata dalla metà degli anni ’80, ha condotto alla riduzione, se non addirittura all’eliminazione, del potere di intervento dei governi sul mercato e alla crescente ingegnerizzazione della finanza, con la nascita degli strumenti derivati, creando una situazione di mercato che, se per certi aspetti è economicamente più “efficiente”, si è rivelata però poco trasparente è più difficile da controllare, favorendo spesso, di conseguenza, la “cattiva finanza”.
Ne è prova la crisi del Gas che stiamo vivendo in cui, al netto della forte riduzione di forniture di gas dalla Russia, gli stati non sembrano in grado di influire sulle decisioni degli operatori sul mercato europeo di Amsterdam, per calmierare i prezzi di un fattore energetico fondamentale per il bene comune e le legittime esigenze della persona umana.
Alla luce di tutto questo le raccomandazioni finali di Papa Francesco nel suo discorso di Assisi, offrono preziose indicazioni per intraprendere una via realistica al cambiamento globale dell’economia e della finanza: 1) “guardare il mondo con gli occhi dei più poveri” per inventare, come ha fatto il movimento francescano a suo tempo, nuove teorie economiche e nuove forme di solidarietà che impediscano di fare vittime e di generare “scartati”; 2) “non dimenticarsi dei lavoratori e di creare lavoro” mentre si creano beni e servizi; 3) avere sempre presente che le idee devono essere “incarnate in opere concrete”, «diventare concretezza impegno quotidiano», come ha saputo fare chi «nei momenti cruciali della storia, ha tradotto gli ideali, i desideri, i valori in opere concrete. Cioè, li ha incarnati. Oltre a scrivere e fare congressi, questi uomini e donne hanno dato vita a scuole e università, a banche, a sindacati, a cooperative, a istituzioni», evitando che «le idee, pur necessarie, si trasformassero in trappole», infatti «la realtà è superiore all’idea» per cui «non si può cambiare il mondo senza la fatica della carne che feconda giorno dopo giorno la terra».