di Stefano Liccioli · In un recente incontro promosso dal Consorzio Internazionale di Media Cattolici “Catholic fact-checking” Papa Francesco è tornato a parlare di comunicazione, un tema che sembra particolarmente caro al Pontefice visto il numero di interventi che negli ultimi tempi ha dedicato a questo argomento. Per chi non lo sapesse il “fact checking” è quella “verifica dei fatti” citati in un testo o in un discorso. Il contesto in cui ci muoviamo è infatti quello descritto dal Santo Padre: «Non possiamo nasconderci che in questo tempo, oltre alla pandemia, si diffonde l’“infodemia”, cioè la deformazione della realtà basata sulla paura, che nella società globale fa rimbombare echi e commenti su notizie falsificate se non inventate. A questo clima può contribuire, spesso inconsapevolmente, anche il moltiplicarsi e l’accavallarsi di informazioni, commenti e pareri cosiddetti “scientifici”, che finiscono per ingenerare confusione nel lettore e nell’ascoltatore».
Complice un’esperienza didattica recentemente svolta, vorrei sottolineare una dinamica che si sta sviluppando sempre di più in questo panorama “infodemico” e cioé quella del complottismo.
Innanzittutto sgombriamo il campo da un equivoco: si può sostenere l’esistenza di complotti senza essere complottisti. Mi spiego meglio. Se il 13 dicembre 1969, all’indomani della strage di piazza Fontana, qualcuno avesse ipotizzato che dietro alla bomba che uccise 17 persone c’era stato un complotto tra alcuni soggetti dell’estrema destra (e magari non solo loro), non avrebbe lavorato di fantasia. Egli avrebbe, piuttosto, individuato quella verità che i processi ci hanno restituito, ancora non in maniera integrale, solo dopo tanti anni.
Occorre dunque distinguere le teorie di complotto dalle fantasie di complotto. Le prime costituiscono una legittima indagine critica su fatti che nascondono una cospirazione con un fine più o meno preciso, un numero limitato di responsabili, qualche lacuna che, prima o poi, li rende smascherabili e sono legate ad un’epoca storica precisa.
Le fantasie di complotto, invece, sono incentrate su intrighi su larga scala, che hanno un numero illimitato di responsabili, uno svolgimento coerente in cui tutto torna e che si adattano ad ogni epoca perché il fine è sempre valido: dominare il mondo.
Intendiamoci, l’uomo ha sempre subito il fascino dei complotti, veri o inventati che fossero. Eventi inediti, come lo sbarco sulla Luna o l’abbattimento delle Torri Gemelle, sono capaci di generare uno shock (nel senso neutro del termine) nelle persone perché esse non hanno ancora le categorie mentali adeguate a capirli. Da qui l’esigenza di una teoria che riesca a spiegare tutto, anche troppo, dando sfogo all’immaginazione. Lungo la storia dell’umanità sono numerose le fantasie di complotto che si sono susseguite: i Protocolli dei Savi di Sion è forse una delle più celebri. Si tratta di un falso documentale inventato dalla polizia segreta zarista all’inizio del XX secolo in Russia in cui si parla di una fantomatica congiura ebraica e massonica per impadronirsi del mondo. L’obiettivo reale di questo documento era di diffondere odio verso gli ebrei nell’Impero russo.
Il successo di queste cospirazioni fantastiche deve essere trovato nell’attitudine che esse hanno nello stuzzicare l’immaginazione, nel soddisfare il bisogno di comprensione delle persone. È fondamentale, a mio avviso, tenere presente queste componenti psicologiche, cosa che in generale i debunker (letteralmente, in inglese, “coloro che rimuovono le fandonie”) fanno, sempre secondo me, troppo poco, concentrandosi quasi esclusivamente su dati ed informazioni per smascherare le menzogne, trascurando eccessivamente il lato emotivo che ci porta a credere a certe storie.
La specificità dell’epoca contemporanea è data dal fatto che internet ed i social network hanno un effetto moltiplicatore su queste fantasie che vengono diffuse come non mai.
La soluzione sta nella verifica delle notizie, nel controllo dei dati, in una ricerca della verità che «non può essere piegata a un’ottica commerciale, agli interessi dei potenti, ai grandi interessi economici», promuovendo piuttosto una società informata, giusta, sana e sostenibile.
Concludo questa mia riflessione con un’osservazione di metodo che lo stesso Papa Francesco ha suggerito nel suddetto incontro e che dovrebbe caratterizzare chi si occupa di comunicazione:«Le fake news vanno contrastate, ma sempre vanno rispettate le persone, che spesso senza piena avvertenza e responsabilità vi aderiscono. Il comunicatore cristiano fa proprio lo stile evangelico, costruisce ponti, è artigiano di pace anche e soprattutto nella ricerca della verità. Il suo approccio non è di contrapposizione alle persone, non assume atteggiamenti di superiorità, non semplifica la realtà, per non scadere in un fideismo di stampo scientifico. Infatti, la scienza stessa è un continuo approssimarsi alla soluzione dei problemi. La realtà è sempre più complessa di quanto crediamo e dobbiamo rispettare i dubbi, le angosce, le domande delle persone, cercando di accompagnarle senza mai trattarle con sufficienza. Il dialogo con i dubbiosi».