A scuola di (buon) giornalismo da Papa Francesco

500 281 Stefano Liccioli
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di Stefano Liccioli · Il conferimento di un’onorificenza ai giornalisti Philip Pullella e Valentina Alazraki è l’occasione per Papa Francesco per parlare d’informazione o, per meglio dire, per tenere una breve lezione di giornalismo con indicazioni molto vere e concrete quasi da far pensare che il Santo Padre abbia fatto anche il reporter, in qualche momento della sua vita. Innanzi tutto egli definisce il giornalismo non una mera professione, ma una missione, «quella di spiegare il mondo, di renderlo meno oscuro, di far sì che chi vi abita ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia. È una missione non facile. È complicato pensare, meditare, approfondire, fermarsi per raccogliere le idee e per studiare i contesti e i precedenti di una notizia». In un tempo come quello attuale in cui i mestieri si misurano solo per quello che rendono dal punto di vista economico, bene ha fatto il Papa a richiamare una dimensione ideale nel fare il giornalista, idealità che ovviamente non annulla il sacrosanto diritto di avere un giusto compenso per il lavoro svolto (il Papa non lo dice, ma conoscendo la sua attenzione alla giustizia sociale credo che sia implicito).

Bergoglio articola, poi, questa missione secondo tre parole chiave: ascoltare, approfondire, raccontare.

Il primo verbo ricorda che i giornalisti devono rifuggire la tentazione di parlare della realtà solo attraverso le e-mail, il telefono e lo schermo del pc ed essere invece «disposti a “consumare le suole delle scarpe”, a uscire dalle redazioni, a camminare per le città, a incontrare le persone, a verificare le situazioni in cui si vive nel nostro tempo». Per fare questo occorre avere la pazienza di ascoltare le persone, intervistandole, raccogliendo in prima persona le notizie:«Ascoltare va sempre di pari passo con il vedere, con l’esserci: certe sfumature, sensazioni, descrizioni a tutto tondo possono essere trasmesse ai lettori, ascoltatori e spettatori soltanto se il giornalista ha ascoltato e ha visto di persona».

La seconda parola, approfondire, è strettamente legata all’ascoltare ed al vedere. Nel tempo in cui la comunicazione, soprattutto quella che avviene sui social, tende alla semplificazione per non dire alla superficialità il Papa mette in evidenza la necessità dell’approfondimento:«Che cosa potete offrire in più, a chi vi legge o vi ascolta, rispetto a ciò che già trova nel web? Potete offrire il contesto, i precedenti, delle chiavi di lettura che aiutino a situare il fatto accaduto. Lo sapete bene che, anche per ciò che riguarda l’informazione sulla Santa Sede, non ogni cosa detta è sempre “nuova” o “rivoluzionaria”. […] La Tradizione e il Magistero continuano e si sviluppano confrontandosi con le esigenze sempre nuove del tempo in cui viviamo e illuminandole con il Vangelo». Tanto per “rimanere in casa” il verbo approfondire è particolarmente caro alla nostra rivista, “Il mantello della giustizia”, che ha come sottotitolo (e come obiettivo) quello di offrire proprio un approfondimento culturale cristiano.

Infine il terzo verbo, raccontare che, secondo Papa Francesco, significa «non mettere sé stessi in primo piano, né tantomeno ergersi a giudici, ma significa lasciarsi colpire e talvolta ferire dalle storie che incontriamo, per poterle narrare con umiltà ai nostri lettori. La realtà è un grande antidoto contro tante “malattie”. La realtà, ciò che accade, la vita e la testimonianza delle persone, sono ciò che merita di essere raccontato».

Il Santo Padre mette in evidenza la dimensione della narrazione come aspetto centrale di quel sano giornalismo che cerca, trova e racconta le perle preziose nascoste tra le pieghe della società. Ripetiamo spesso che fa più notizia un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce. Impegnarsi a raccontare le luci piuttosto che le ombre (o almeno quanto le ombre) della realtà non è un esercizio di sterile ottimismo, ma un modo per resistere al fascino del negativo che forse farà audience (basta pensare alle tante, troppe, trasmissioni televisive dedicate a crimini e delitti), ma rischia di ammorbarci l’anima di pessimismo.

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Stefano Liccioli

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