di Leonardo Salutati · Il “Reddito di Cittadinanza” (RdC), disciplinato dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, è un sostegno per famiglie in condizioni disagiate finalizzato al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale. Per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più persone di età pari o superiore a 67 anni, il RdC assume la denominazione di “Pensione di Cittadinanza”
Sul RdC è in corso un intenso dibattito politico tra favorevoli e critici, tuttavia è bene ricordare che il RdC va a sostituire dispositivi precedentemente esistenti come il “Reddito di inclusione” il quale, a sua volta, sostituiva il “Sostegno per l’inclusione attiva” e l’ “Assegno di disoccupazione”. Tutte iniziative originate dalla discussione istituzionale e pubblica su una misura strutturale di contrasto alla povertà, avviata dall’approvazione del decreto legge 5/2012 che, all’articolo 60, prevedeva una fase sperimentale della “Carta acquisti”.
Con questa legge tra l’altro si dava corso alla “raccomandazione” dell’Unione Europea che dal 1992 invitava a predisporre interventi per combattere l’emarginazione sociale che, ancora oggi presenta dimensioni importanti. In termini di cifre, il Fondo Monetario Internazionale ha calcolato che nel 2018, in Europa, il 3,4% del Pil Ue è stato speso in misure di sostegno al reddito. Nonostante questo e nonostante anche che, nel corso degli anni, si sia registrato nella UE un graduale miglioramento delle condizioni di vita, secondo un recente studio sulla povertà in Europa (European anti-poverty network, 2020) nel 2020 circa 110 milioni di cittadini, 1 su 5, sono ancora a rischio di povertà e di esclusione sociale. Condizione che si è ulteriormente aggravata a causa della pandemia.
La situazione di indigenza di buona parte della popolazione europea, ha spinto tutti gli stati Ue ad introdurre, seppure in maniera eterogenea, misure di sostegno alle famiglie indigenti (Direzione Generale per le politiche interne del Parlamento Europeo, 2017). In alcuni stati come Svezia, Slovacchia e Spagna, il sistema è centralizzato a livello nazionale, mentre in altri tra cui Austria e Paesi Bassi è su base locale. L’Italia, con la Grecia, è stata l’ultima nazione a predisporre una misura di questo genere.
Vale la pena ricordare anche che, al di fuori dei confini europei, l’unico paese al mondo che ha istituito il RdC è l’Alaska. In Kenya la misura è in fase di prova, mentre il Canada lo ha cancellato perché troppo caro (studiocataldi.it, 2019).
Tutti i paesi che hanno introdotto il RdC si sono trovati ad affrontare varie criticità che la misura ha nel corso del tempo evidenziato, dando luogo ad approfondite analisi e valutazione degli esperti ben documentate (si veda per esempio il caso inglese, F. Giubileo, 2021), di cui l’Italia avrebbe potuto tenere in miglior conto, considerato il ritardo con cui è intervenuta sulla questione.
In ogni caso, riguardo all’esperienza italiana, il “Comitato scientifico di valutazione del reddito di cittadinanza” previsto dal decreto istitutivo del RdC, nominato a marzo 2021, composto da esperti e rappresentanti di Anpal, Inapp, Inps e del Dipartimento inclusione del ministero del Lavoro, ha prodotto un primo rapporto reso pubblico il 9 novembre scorso che, rilevando varie criticità nella struttura del RdC, formula ben dieci proposte per rendere il RdC più equo ed efficace (Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, 2021).
Purtroppo, come è stato osservato (M. Baldini, 2021), quanto proposto dal comitato ha trovato una fredda accoglienza, tanto che alcune delle modifiche inserite nella legge di bilancio per il 2022 sembrano rispondere piuttosto a una narrazione più o meno fantasiosa e ideologica sui beneficiari del reddito di cittadinanza che a una analisi dei dati empirici (C. Saraceno, 2021).
Alla luce del dibattito pubblico in corso, spesso ideologico, ci pare opportuno precisare che iniziative a favore dei più poveri e indigenti appartengono da sempre alla vita della comunità cristiana. Anzi già nell’Antico Testamento troviamo esplicite indicazioni al riguardo. Fin dalle origini della Dottrina sociale della Chiesa poi, è richiesto che l’attenzione ai più disagiati diventi istituzionale. Rerum novarum ricorda che «le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue» (n. 29). Dopo Rerum novarum, praticamente tutto il Magistero sociale richiama il dovere di solidarietà con i più poveri e più bisognosi e l’urgenza di una Opzione preferenziale per i poveri, le cui caratteristiche saranno adeguatamente precisate in particolare dal contributo di S. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Papa Francesco ha recentemente ricordato che l’Opzione preferenziale per i poveri è «una scelta che, secondo il Vangelo, non può mancare… questa non è un’opzione politica; neppure un’opzione ideologica, un’opzione di partiti… è al centro del Vangelo» (Udienza, 2020; Evangelii gaudium, 195).
Sono motivazioni più che sufficienti per abbandonare il dibattito ideologico e lavorare piuttosto a misure a favore dei poveri efficaci e capaci, tra l’altro, di contribuire al sostegno dell’economia del Paese.