di Leonardo Salutati • Nella sua ultima enciclica Benedetto XVI nell’approfondire il concetto di sviluppo umano integrale alla luce della carità nella verità, ha messo in luce che oggi la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica (CV 75) aspetto peraltro già accennato nel 1981 dalla Laborem exercens di Giovanni Paolo II.
I grandi temi da affrontare oggi, sono infatti quelli del rapporto fra l’uomo e le strutture produttive, la globalizzazione, il progresso scientifico e tecnologico, l’ambiente. Uno scenario rispetto al quale la Caritas in veritate rappresenta quasi il «manifesto» programmatico.
In questa luce, nel considerare la realtà economica, l’enciclica rivela la sua originalità nell’invitare alla gratuità ed al dono in un ambito, l’economia di mercato, dove regna piuttosto l’interesse, la concorrenza, l’efficienza, il potere di acquisto, la disuguaglianza tra operatori economici (CV 41, 46, 67). Sennonché è facile constatare che, per funzionare, l’economia di mercato ha comunque bisogno di onestà, di fiducia, di rinuncia alla violenza, di giustizia, di fare proprie le dimensioni della gratuità (CV 35-36).
La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di leggi giuste e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito del dono (n. 37).
Parlando di attività economiche che operano con una certa dose di gratuità il Papa prende atto della presenza nella società di un considerevole complesso di istituzioni quali: le società mutualistiche, le cooperative, le società senza fine di lucro come le scuole e gli ospedali e molte altre iniziative, tra le quali anche diverse forme di mecenatismo praticate dalle imprese a beneficio di diverse realtà sociali. Tuttavia la sua proposta va oltre auspicando una “conversione” del capitalismo perché la legge della gratuità può entrare più ampiamente in tale sistema. Si tratterebbe di restituire all’economia la sua prima vocazione, cioè essere strumento del bene comune, in funzione dello sviluppo umano integrale (CV 36-37; 65), liberandosi dai limiti derivanti dalla ricerca del solo profitto monetario e degli interessi individuali.
Infatti, gratuità, fraternità e solidarietà sono valori che, insieme, costituiscono la premessa e le condizioni per uno sviluppo integrale, equo e duraturo che, per questo, richiedono di trovare stabilmente il loro posto nell’attività economica e politica quale elemento non aggiunto ma strutturale (CV 36). Tale esigenza è ancora più urgente date le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, che evidenziano la necessità di profondi cambiamenti nel modo di intendere l’impresa. Per questo la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa (shareholders), ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla sua vita(stakeholders: lavoratori, fornitori, clienti, finanziatori, collaboratori, ambiente naturale, la più ampia società circostante) (CV 40). Oggi non è più rinviabile la presenza della carità, all’interno delle relazioni economico-sociali, con una funzione strutturale. Avendo ben chiaro che solo quando l’impresa deciderà di lavorare in modo tale che il profitto non sia il fine unico della sua attività, e definirà come e quanto utile distribuire tra gli altri portatori di interessi prima che agli azionisti, allora la carità potrà essere realmente principio strutturale di organizzazione della vita economico-sociale.