di Giovanni Campanella · Nel mese di aprile 2019, la casa editrice Altreconomia ha pubblicato, all’interno della collana “I saggi di Altreconomia”, un piccolo libro intitolato L’Economia è cura. Una vita buona per tutti: dall’economia delle merci alla società dei bisogni e delle relazioni, scritto da Ina Pretorius. Il libro originale è uscito per la prima volta in tedesco nella primavera del 2015 a Berlino ed il suo titolo è Wirtschaft ist Care oder: Die Wiederentdeckung des Selbstverständlichen. Poco dopo è stato tradotto in inglese con il titolo The care-centered economy e nel marzo del 2016 è stato pubblicato per la prima volta in italiano. L’edizione del 2019 è riveduta e pubblicata da un nuovo editore e corredata di contributi di altri pensatori. Presentazione, traduzione e curatela sono affidati ad Adriana Maestro. La prefazione è di Luisa Cavaliere mentre la postfazione è di Roberto Mancini (non il commissario tecnico della Nazionale Italiana di calcio campione d’Europa ma il professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Macerata, editorialista di Altreconomia con la rubrica mensile “Idee eretiche”, direttore delle collane “Orizzonte filosofico” e “Tessiture di laicità” per la Cittadella editrice di Assisi).
«Ina Praetorius, nata nel 1956 a Karlsruhe, in Germania, è una teologa ed economista svizzera di fede evangelica che si autodefinisce “una rompiscatole postpatriarcale”. Vive con la famiglia a Wattwil, nel Canton San Gallo. Dal 1987 è autrice di contributi che l’hanno portata a essere considerata una delle maggiori rappresentanti del femminismo teologico militante e “radicale”. Membro attivo dell’Afert, l’associazione delle teologhe europee, è nota grazie ad alcuni interventi su Concilium e a consistenti contributi su numerose riviste. I suoi temi principali sono l’etica femminista e lo stile di vita post-patriarcale. Ha guidato un movimento per salvare l’insegnamento dell’economia domestica nelle scuole svizzere e nel 2013, sempre in Svizzera, ha sostenuto la campagna per un reddito di base incondizionato.
(…).
Adriana Maestro è responsabile del Centro Studi Mediterraneo Sociale e dell’associazione Rita Atria-Giancarlo Siani, a Napoli. Dagli studi sul pensiero neokantiano e su Max Weber è passata negli ultimi anni a occuparsi del pensiero femminista connesso alla definizione di una nuova idea di cittadinanza e di lavoro. Ha studiato e vissuto tra Napoli e Düsseldorf, portando con sé passioni e rigore di due mondi e due culture» (p. 5).
Nonostante il piglio esageratamente netto con cui combatte l’ordine del presunto mondo maschilista, il libro offre alcuni buoni spunti su cui riflettere. Da parte mia, evidenzierei due elementi che ho trovato interessanti. Il primo consiste nella proposta di mettere al centro dell’economia tutta la dimensione della cura dei non autosufficienti e della casa, solitamente affidata alle donne e non riconosciuta nell’ambito dei calcoli economici, anche e soprattutto perché la maggior parte delle volte al di fuori di tutto ciò che è monetizzato. È in fondo il messaggio principale del libro, al di là della veemenza nei confronti del dualismo uomo-donna, razza bianca-altre razze o eterosessuali-non eterosessuali. Il secondo elemento, non strettamente legato all’argomento principale ma comunque al suo servizio, sta nella valorizzazione dei social media, normalmente stigmatizzati da altri intellettuali. Praetorius invece rileva che il social (al netto di varie inevitabili derive) accresce, arricchisce e vivifica grandemente utili dibattiti, dando la possibilità di esprimersi a tanti in tanti modi.
Sembra che ampi studi dimostrino che il lavoro di cura non pagato costituisca circa la metà del lavoro socialmente necessario.
«Non è di secondaria importanza, ad esempio, che la scienza moderna, che studia “in che modo i mezzi per la soddisfazione dei bisogni umani possano essere prodotti, distribuiti, usati e consumati nella maniera più sensata”, trascura abitualmente circa la metà di queste misure e mezzi. Oggi non vengono considerate per nulla o sono ritenute del tutto marginali dalla scienza economica, spesso presentate in maniera distorta quale semplice “consumo”, proprio quelle misure per la soddisfazione dei bisogni adottate nei ménage domestici (oikoi), senza le quali nessuno da bambino sarebbe sopravvissuto» (p. 24).
Chiaramente questo libro non è un trattato di economia. Però lancia un buon sasso nello stagno e fornisce anche un pertinente contorno simbolico e antropologico di sostegno alla proposta. Spetterà poi ai tecnici implementare l’idea.