Albert Vanhoye: memoria di un maestro

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di Stefano Tarocchi · «Dio avrebbe tanti motivi per non parlare più al suo popolo, ma non si è mai rassegnato!»: è una splendida esclamazione di un uomo intriso della sapienza della Bibbia, indagata e letteralmente ruminata per decenni per essere restituita nella sua densità: il p. Albert Vanhoye, S.J. 

Albert Vanhoye era nato il 24 luglio 1923 a Hazebrouck (diocesi di Lille, in Francia).  

Nel 1941, all’età di 18 anni, attraversò tutta la Francia a piedi per entrare nel noviziato della Compagnia di Gesù a Le Vignau (Landes). Un’impresa coraggiosa, quando metà della Francia era occupata dai tedeschi; per raggiungere la zona franca, dovette attraversare la linea clandestinamente per non essere catturato e inviato in Germania per essere aggiunto al numero di giovani che lavoravano per l’industria tedesca.  

Dopo una laurea in Lettere classiche, filosofia e teologia a Enghien (Belgio), fu ordinato sacerdote il 25 luglio 1954. Fece il suo “Terzo Anno” (l’anno di formazione spirituale per i gesuiti prima dei loro ultimi voti) a Saint-Martin d’Ablois (1955-56) e pronunciò i suoi voti definitivi a Roma il 2 febbraio 1959.  

Nel 1956 fu inviato al Pontificio Istituto Biblico di Roma, per gli studi e, successivamente, per un dottorato, sulla struttura letteraria dell’Epistola agli Ebrei (pubblicato nel 1962).  

Insegnò brevemente a Chantilly, prima di tornare a Roma nel 1962, come professore al Pontificio Istituto Biblico. In questa grande istituzione accademica è stato decano della facoltà biblica dal 1969 al 1975, e quindi rettore dell’Istituto biblico dal 1984 al 1990.
Chi scrive l’ha avuto come maestro negli anni tra il 1980 e il 1983, durante gli studi al Pontificio Istituto Biblico: esattamente due corsi e un seminario, sempre sulla lettera agli Ebrei.  

Diresse ventotto tesi di dottorato sull’epistola agli Ebrei, su diversi temi della teologia paolina, sull’esegesi dei Vangeli (Marco e Luca), su questioni di struttura letteraria (Libro dell’Apocalisse). Per molti anni segretario della Pontificia Commissione Biblica, è stato una delle grandi ispirazioni di due documenti che estendono l’opera del Concilio: l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) e del popolo ebraico e delle loro sacre Scritture nella Bibbia cristiana (2001).

Fu anche consultore di varie Congregazioni Pontificie (Congregazione dell’Educazione Cattolica; Congregazione per la Dottrina della Fede).  

Il cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva totale fiducia in lui: si appellava ad Albert Vanhoye ogni volta che un testo papale che menzionava la Scrittura o un libro che commentava la Scrittura causava problemi.  

Il Cardinale Ratzinger ha apprezzato questo instancabile, umile lavoratore, che desiderava solo il bene della Chiesa. Fu anche direttore della collana Analecta Biblica.  

Il 24 marzo 2006, all’età di 83 anni, è stato creato cardinale da Papa Benedetto XVI per “i servizi che ha reso alla Chiesa con esemplare fedeltà e ammirevole zelo”.  

Ha svolto tutte queste funzioni con disponibilità, discrezione ed efficienza. Ciò ha manifestato da un lato un temperamento relativamente timido, ma anche la ricchezza dell’uomo interiore. Come insegnante, i suoi studenti apprezzavano la sua affabile disponibilità per tutti, il suo rigore e la sua preoccupazione per la precisione nell’interpretazione e nella comprensione del testo biblico. Spiritualmente, passò tutta la sua vita a scrutare la figura di Cristo, contemplando la docilità filiale di Gesù verso Dio e la sua solidarietà con gli uomini, lasciandosi guidare al cuore misericordioso di Cristo.  

Dal 2013 risiedeva nella comunità di San Pietro Canisio, comunità gesuita, che accoglie in particolare compagni anziani e malati ed è sostenuta dalla Curia Generale dei Gesuiti, accanto al Vaticano: qui morto il 26 luglio 2021 a novantotto anni di vita e sessantasette di sacerdozio. 

Anche una lettura sommaria della lista delle opere pubblicate da Albert Vanhoye mostra che il suo pensiero e la sua esegesi erano principalmente nutriti dalla Lettera agli Ebrei. Ha scritto più di cinquanta articoli su altri testi e temi del Nuovo Testamento: ad esempio, sulla composizione di vari passaggi e libri (Giovanni 5, 19-30; 1 Corinzi 12-14; il Benedictus; 1 Tessalonicesi; Apocalisse), sui carismi del Nuovo Testamento, su diversi passi del Vangelo di Giovanni, sull’agonia, la passione e la croce di Cristo, sulla “fede di Cristo”, sui Galati, sul sangue e sul cuore di Cristo, nonché sul rapporto tra esegesi e teologia. Tuttavia, ha pubblicato circa cinquanta studi sulla lettera agli Ebrei: la riprova che questo scritto è rimasto al centro delle sue riflessioni sulla cristologia e la tipologia del Nuovo Testamento, nonché sull’Antica e la Nuova Alleanza.  

A noi rimane il suo insegnamento, la sua sapienza, sempre ricca di contenuto e di spessore: P. Vanhoye ci lascia quasi il compito di ritrovare il giusto spazio per questo libro del Nuovo Testamento, tanto importante, quanto ingiustamente trascurato negli studi di teologia, che mette particolarmente in luce il sacerdozio di Cristo e quello del popolo di Dio. La lettera agli Ebrei del Nuovo Testamento dovrà nuovamente e con maggior forza essere affidato alla lettura e allo studio dei candidati al ministero presbiterale, ma anche di quanti compiono i loro studi per conseguire i gradi accademici. È un impegno che mi assumo nella memoria del mio antico maestro. 

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Stefano Tarocchi

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