Cos’è la cristologia? A margine di un recente libro

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di Francesco Vermigli · “Voi chi dite che io sia?” chiede Gesù nei villaggi intorno a Cesarea di Filippo, al termine di una giornata di fatica apostolica e di predicazione (Mc 8,27-30; Mt 16,13-20; Lc 9,18-21). Una domanda che interpella il cuore dei suoi amici e discepoli; una domanda che li chiama a rispondere personalmente, non per sentito dire. È la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli, certo; ma è anche la domanda che squarcia i secoli e attraversa i millenni, per arrivare fino a noi.

Questa domanda è la domanda della fede in Cristo: chi è per me il Nazareno? chi è per la Chiesa Gesù, comunità dei credenti in Lui? Ma è anche la domanda che rende ragione dell’esistenza di una disciplina capitale nel pensiero teologico; disciplina che introduce e permette l’accesso alle altre discipline sacre. Senza Gesù non sapremmo dell’esistenza del Padre e dello Spirito (un Dio trino) e senza Gesù non avrebbe senso parlare della Chiesa: comunità radunata nella fede in chi? Tutto, solo per fare qualche esempio circa la priorità della disciplina che tratta della persona di Gesù. La cristologia nasce proprio – che ne sia o meno consapevole – per dare una risposta riflessa, autorevole e critica al quesito che Gesù fa sulla sua identità.

Ritornano alla mente le parole lapidarie – e tuttavia che mai ci parranno legittime – di Lutero che – di fronte alla tarda Scolastica (sorta di lento e pesante pachiderma del pensiero teologico) – affermava al contrario: “Cosa mi interessano le due nature, basta che mi salvi!”. Una radicalità – quella delle parole del campione della Riforma – che potrà anche attrarre le nostre menti che hanno sempre più in uggia ogni pensiero dogmatico (perché negli ultimi anni abbiamo appreso con una certa sorpresa che di dogma la Chiesa possa pure morire…). Ma quella radicalità si basa su un assunto sbagliato: che sia indifferente chiedersi chi sia Gesù, irrilevante farsi domande sulla sua identità. Basta che mi (ci?) porti la salvezza. In effetti, come notava con arguzia e semplicità il grande cristologo belga della Gregoriana Jean Galot (vecchia scuola gesuitica, ma assai rinnovata nel metodo alla luce del Concilio), Gesù nei Vangeli non chiede mai: “cosa pensate sia a venuto a fare?”; non chiede la sua funzione nel mondo, chiede cosa i discepoli e le persone che lo circondano, pensino di Lui, cosa pensino della sua identità più intima e vera. Che poi, se ci pensiamo bene, è questa la domanda che si fanno gli innamorati: la domanda delle relazioni più vere, di chi desidera sapere cosa pensino di lui, coloro a cui egli tiene.

Per chi scrive queste righe (deformazione professionale…) è una gradita sorpresa vedere quella domanda sull’identità di Gesù in apertura di un libro chiaro e approfondito, uscito lo scorso anno. Mi riferisco a Cristologia di Daniele Gianotti; già docente alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna e allo Studio Interdiocesano di Reggio Emilia, e da qualche anno vescovo di Crema (Bologna, EDB, 2020; pp. 373, € 30,00 [Fondamenta]). In senso stretto non pare possa annoverarsi tra i manuali; non ne ha forse l’ampiezza, non ne ha il carattere didascalico che spesso li contraddistingue. Si apprende dall’Introduzione che si tratta della rielaborazione delle dispense utilizzate alla FTER nello scorso decennio, in particolare per l’anno accademico 2014-2015.

Il libro appare ben calibrato, nella presentazione di alcune questioni cardine della cristologia di oggi. Ad esempio, facendo leva sugli studi affidabili e innovativi di Dunn (scomparso poco più di un anno fa), il Gianotti viene a toccare la questione annosa del Gesù storico; notando che – a differenza di quella di Gesù da cui abbiamo iniziato – la domanda sul Gesù storico è mal posta, perché parte dal pregiudizio contro la fede; che è apparsa dal XVII secolo in avanti (specie nel mondo tedesco razionalista e positivista) come una sorta di incrostazione da eliminare per recuperare la purezza della vita di Gesù. Così facendo, la pletora di testi su Gesù e su cosa egli abbia realmente detto e su cosa abbia realmente fatto, si è (quasi) sempre dimenticata che non esiste alcun accesso alla persona storica di Gesù se non attraverso i Vangeli; testi che sono impregnati nella fede in Lui, nascono dalla fede in Lui e mirano a suscitare la fede in Lui.

Prosegue poi il Gianotti tra le questioni bibliche più rilevanti, per poi passare ad altri argomenti, quelli patristici; facendo assaporare la portata delle discussioni teologiche dei primi secoli e dei primi concili. Perché, si direbbe, all’epoca dei grandi (Atanasio e i Cappadoci, Cirillo e Leone Magno, Giustiniano e Massimo il Confessore) si prendeva sul serio la domanda di Gesù sulla sua identità.

Segnaliamo infine un focus interessante e ben composto su quella che potremmo chiamare senza timore di smentita come la crux christologorum degli ultimi tempi, o forse di sempre: la questione di quale coscienza avesse Gesù della filiazione divina e della sua missione salvifica e di quale conoscenza egli avesse della cose del mondo. Qui, l’ispirazione è rahneriana principalmente: ci pare che siano quelle poche decine di pagine il passaggio più rilevante del libro da un punto di vista critico. Ancora una volta è questione di identità di Gesù: cosa sa, cosa pensa Gesù di se stesso. Nientedimeno.

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Francesco Vermigli

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