«Fu vera gloria?». Da Ajaccio a S. Elena come in un baleno

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di Francesco Romano • Una frase giunta fino a noi, di cui però non esiste riscontro storico, è stata attribuita a Napoleone che nel 1806 avrebbe rivolto al segretario di Stato Card. Ercole Consalvi nella circostanza dell’arresto e della deportazione in Francia di Papa Pio VII: “In pochi anni, io avrò distrutto la Chiesa”, al che il Cardinale risponde “No, Maestà! non ci siamo riusciti noi preti a distruggerla in 17 secoli. Non ci riuscirà neppure lei”.

Napoleone nasce ad Ajaccio il 15 agosto 1769. A nove anni viene ammesso alla prestigiosa scuola militare di Brienne-le-Château grazie all’attestato notarile redatto dal cugino Moccio Bonaparte, notaio di Empoli, con cui può dimostrare di possedere i quattro quarti di nobiltà per i legami familiari dei Bonaparte còrsi con quelli di San Miniato al Tedesco in provincia di Pisa, all’epoca diocesi di Lucca, dove vive un suo zio il canonico Filippo Bonaparte. Un altro ramo dei Bonaparte còrsi fa ascendere la propria origine ai Bonaparte ghibellini di Firenze, da dove furono cacciati negli anni delle lotte contro i guelfi trovando rifugio a Sarzana, terra di esilio di tanti fiorentini del due-trecento, tra cui anche Dante. Solo dopo la morte del padre Carlo, Napoleone cambia il cognome Buonaparte in Bonaparte che lo rende foneticamente più vicino alla lingua francese.

La parabola che ha portato Napoleone al vertice della sua gloria vedrà un rapido declino. Con la vittoria sull’Austria, il 17 maggio 1809 Napoleone decreta l’annessione dello Stato Pontificio all’Impero francese. Dopo poche settimane Pio VII viene arrestato e portato prima in Francia e poi a Savona prigioniero di Napoleone Bonaparte. Il collegio dei cardinali è portato a Parigi e poi disperso in diverse città francesi. Lo Stato Pontificio viene suddiviso in dipartimenti e governato alla maniera francese, la Curia romana è sciolta.

Di ritorno dalla disastrosa campagna di Russia e la storica battaglia della Beresina del 1812, Napoleone fa trasferire il Papa a Fontainebleau, ma ormai si avvicina la sua fine, il 31 marzo 1814 viene sconfitto nella Battaglia di Parigi e il 6 aprile abdica. Il 24 maggio 1814 Pio VII ritorna a Roma, mentre il Card. Consalvi ha un ruolo centrale al Congresso di Vienna nell’elaborare una strategia diplomatica di pacificazione tra le varie nazioni europee. Al contrario, la sorte di Napoleone vede un capovolgimento ed è costretto all’esilio sull’Isola d’Elba dove sbarca il 4 maggio 1814, trasformata per lui in principato. Il 20 marzo 1815 Napoleone riconquista la Francia per cento giorni, ma il 18 giugno viene sconfitto a Waterloo ed esiliato sull’Isola di S. Elena dove muore il 5 maggio 1821.

Come a ogni progetto di Napoleone seguiva rapida la sua realizzazione, la stessa parafrasi “di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno” potrebbe essere descrittiva della pari rapidità con cui egli ha conosciuto la gloria e la caduta.

La frase rivolta da Napoleone al Card. Consalvi potrebbe essere stata coniata a uso apologetico, ma si presta bene anche a una lettura ambigua che accentui il mito della sua grandezza, come a significare che nessuna potenza umana sarà in grado di fronteggiare la potenza e la gloria di questo uomo e del suo impero senza l’assistenza dall’Alto di cui solo la Chiesa può beneficiare fin dalla sua origine e che la rende inespugnabile.

Di fatto il crollo di una potenza, tanto esaltata quanto odiata, creata da Napoleone imperatore dei Francesi (1804) e re d’Italia (1805), che ha segnato soprattutto negli ultimi dieci anni le sorti dei popoli d’Europa, non può essere consegnata alla penna di una riduttiva aneddotica postuma. Al contrario questo personaggio non a caso è riuscito a ispirare la letteratura europea del XIX secolo come Stendhal, Hugo, Tolstoj, Dostoevskij, Manzoni, Sainte-Beuve, Chateaubriand.

A Napoleone si deve la modernizzazione dello Stato introducendo grandi riforme nell’amministrazione, nell’ordinamento scolastico, in quello militare creando soldati di mestiere a lunga ferma. Egli contribuisce a incrinare il vecchio assetto feudale e assolutistico della società europea, a stimolare il sentimento patriottico delle nazioni, e a fomentare i nazionalismi cambiando i confini politici.

Il quadro dell’epoca napoleonica rivela la sua importanza nella storia d’Europa principalmente attraverso l’attività legislativa di Napoleone che sostituisce il sistema confuso di leggi e regolamenti regionali. Introduce nuovi concetti di diritti individuali, familiari e di proprietà. Napoleone promulga il Codice Civile (1804) e il Codice di Commercio (1807), entrambi fondati sul diritto romano e divenuti la base di gran parte della legislazione civile del mondo; il Codice di procedura civile (1806); il Codice di procedura penale (1808) e il Codice penale (1810). Si tratta di una codificazione chiara e precisa che risponde alle nuove situazioni che regolano i rapporti giuridici e sociali fondati sul principio di uguaglianza. Essa si fece portatrice di molti principi del 1789, come l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la laicità dello Stato, la libertà di coscienza, il carattere assoluto e inviolabile della proprietà privata, la libera iniziativa economica. A Napoleone si deve l’introduzione del sistema decimale dei pesi e delle misure in sostituzione delle numerose scale di misura in uso a livello locale, e tanto altro.

Il Codice napoleonico realizza un compromesso fra l’antico patrimonio giuridico e le nuove idee promulgate dalla Rivoluzione e viene esteso ai Paesi direttamente o indirettamente dominati dalla Francia, Italia compresa.

Il primo libro del “Code Civil” riguarda i diritti delle persone e della famiglia. Esso regola le norme sullo stato civile; viene istituito il matrimonio civile; la donna si trova in una condizione di subordinazione al marito: è sottoposta alla sua tutela e non può amministrare i propri beni senza la sua supervisione. Inoltre, il divorzio è reso più restrittivo rispetto a quello del 1792, mentre il marito può facilmente ottenerlo la donna può chiederlo solo in caso di adulterio conclamato e oggetto di pubblico scandalo; la paternità vede la riduzione dei poteri del pater familias, la parificazione tra figli legittimi maschi e femmine e l’attribuzione di qualche diritto ai figli naturali, la persistenza della soggezione dei figli alla potestà genitoriale fino al compimento del ventunesimo anno d’età.

Il secondo libro, Dei beni e della differente modificazione della proprietà, dedicato al regime patrimoniale, prevede l’abolizione del feudo e dei vincoli.

Il terzo libro, Dei differenti modi coi quali si acquista la proprietà, è dedicato alle relazioni tra le persone private: diritto patrimoniale nei rapporti parentali, contratti e obbligazioni. In materia successoria era prevista la completa equiparazione tra maschi e femmine, il rifiuto del fedecommesso e dei privilegi a favore di qualche figlio, nonché l’inviolabilità della volontà testamentaria.

Già con la Rivoluzione aveva preso forma il progetto di riunire in un unico corpo tutte le leggi della Francia e di sancire in modo ufficiale i principi rivoluzionari. La notevole molteplicità di fonti del diritto generava incertezza e disomogeneità giuridica, perciò era necessaria una sistemazione organica delle norme, che indusse a vari tentativi di redigere un codice civile.

Il progredire del processo di codificazione rafforza la linea del volontarismo statuale e della certezza del diritto come comando del legislatore, fonte di produzione giuridica, che colloca nel Codice tutto l’ordinamento giuridico positivo dove qualunque caso possa trovare la norma corrispettiva che lo regola come riflesso della sua volontà. La statalizzazione del diritto porta il sovrano dell’età moderna a incrementare la sua funzione legislativa come strumento di controllo e di comando rendendo ogni altra forma del diritto fonte gerarchica inferiore rispetto alla legge da lui emanata fino a vanificare l’intermediazione tra Stato e cittadini operata da altre fonti giuridiche intermedie come le consuetudini, gli statuti delle corporazioni, il pronunciamento dei giudici o dei giureconsulti ecc.

Con il “Code Civil” napoleonico si afferma quel processo di codificazione che finirà per interessare progressivamente le nazioni europee, così il Codice austriaco del 1811, il Codice civile italiano del 1865, il Codice tedesco del 1900 e quello svizzero del 1907.

La codificazione di Napoleone influisce anche sull’ordinamento della Chiesa che inizia il percorso approdando alla promulgazione del primo Codice di Diritto Canonico il 27 maggio 1917. La strada è stata lunga e travagliata perché la sua ispirazione non proviene dalla tradizione canonica, ma si inserisce nel solco delle codificazioni statuali secondo i principi espressi dal giusnaturalismo che cominciarono a prendere forma concreta già alla fine del XVIII secolo con l’esigenza razionalistica di dare fondamenti di unità e stabilità al diritto che regola il rapporto diretto tra Stato e cittadini.

Il Concilio Vaticano I (1869-1870), già nella fase preparatoria (1864-1867), recepisce la richiesta di molti Vescovi di una reformatio iuris, per rendere più agevole la consultazione delle leggi ridotte a un mare magnum di norme spesso caratterizzate dall’incertezza del loro valore giuridico in quanto obsolete, lacunose oppure mescolate con norme emanate per casi singoli. Si rendeva necessaria la sistemazione delle fonti del diritto canonico in una nuova e unica collezione per assicurare la certezza del diritto, facilitare la consultazione e la retta applicazione delle leggi anche dai meno esperti che avevano la diretta responsabilità della cura pastorale del popolo di Dio.

La nuova concezione codicocentrica del diritto finisce per assorbire e trasformare il razionalismo giusnaturalista nel volontarismo statuale, dove la volontà del legislatore mortifica in larga misura la scienza giuridica, la dimensione creativa che si esprime nell’esegesi e nell’interpretazione.

Ecco come Francois-René Chateaubriand scrive nel libro “Napoleone”: “Bonaparte era un poeta dell’azione, un genio immenso della guerra, uno spirito instancabile, abile e giudizioso nell’amministrazione, un legislatore operoso e ragionevole. Per questo egli fa tanto colpo sull’immaginazione dei popoli e ha tanta autorità nel giudizio degli uomini positivi. Ma come politico egli lascerà sempre a desiderare agli occhi degli uomini di Stato”.

Napoleone riesce a essere genio militare e uomo di Stato tra enormi manchevolezze radicate nella sua natura di uomo egocentrico e di illimitata ambizione. L’ascesa al potere di Napoleone da inizio all’età napoleonica celebrata da una corrente del neoclassicismo conosciuta come “stile impero” interessando l’architettura, le arti decorative e visive, l’arredamento. Un gusto stilistico molto ricercato che si diffonde in gran parte d’Europa basti pensare ai mobili, agli indumenti, agli orologi, alle suppellettili da toilette, ai portagioie o ai noti bicchieri da cognac ancora oggi presenti in tante cristallerie delle nostre case.

Ajaccio, Elba e S. Elena, tre isole che traendo la propria notorietà dal nome di Napoleone diventano simbolo di una esistenza che si consuma come l’alba mentre va incontro al tramonto.

L’interrogativo manzoniano se “fu vera gloria”, dopo due secoli ritrova quel dubbio del poeta ancora in un perpetuo oscillare quanto l’irrisolta decodificazione del concetto di gloria come categoria o principio di valore.

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Francesco Romano

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