di Antonio Lovascio · Meritano di salire sul podio della riconoscenza pubblica, subito dopo le centinaia di migliaia di medici ed infermieri che da più di15 mesi sono in trincea negli ospedali e nelle terapie intensive per salvare vite umane dal Covid, sacrificando o comunque mettendo in pericolo anche la loro. Sono quelli che Papa Francesco chiama gli “artigiani della Misericordia”, uomini e donne impegnati nel variegato mondo del volontariato (calcolati dall’Istat in oltre 7 milioni, ma forse sono molti di più) che in questa catastrofica emergenza pandemica offrono alle istituzione un supporto incalcolabile ed allo stesso tempo insostituibile. Ben visibili con le loro azioni dietro le sigle delle organizzazioni cattoliche e laiche, anche se la “macchina” delle vaccinazioni prioritarie spesso ha dimenticato gli operatori delle ambulanze. Nelle diverse condizioni del bisogno ogni giorno coniugano con i fatti, con le loro mani, con l’ascolto, con la vicinanza, con le carezze, quella solidarietà – sono parole di Bergoglio – che “ esprime concretamente l’amore di Dio non come un sentimento vago, ma come determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”. Solidarietà con chi soffre, con i malati, i poveri e gli indifesi. Portata avanti in silenzio da chi è mosso da valori religiosi o da chi, nell’aiutare gli altri, trova anche una risposta al bisogno di socialità.
Non si tratta di un mondo fantastico e immaginario, ma di “gente vera” che combatte senza sosta con gli unici strumenti che ha: il cuore, la mente e quella passione per un servizio che va oltre ogni cosa. Grazie a questa “rete” abbiamo potuto tracciare i reali e complessi volti della povertà: sanitario, alimentare, educativo, lavorativo, abitativo, relazionale.
Se prima dell’emergenza Covid-19 secondo l’Istat in Italia si contavano 4,6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta ( il 7,7% della popolazione residente, pari complessivamente a 1,7 milioni di famiglie), alla fine del 2020 sono aumentate di un milione attestandosi poco al di sotto dei sei milioni. E aumenteranno ancora di più – avverte la Caritas – con il protrarsi della pandemia e l’esplosione della crisi economica, quando finirà il blocco dei licenziamenti ed il sostegno della Cassa integrazione. Il quadro che si ricava dalle statistiche – alle quali si rischia purtroppo di fare una certa assuefazione – già evidenzia situazioni che vanno ben al di là delle famiglie numerose. Cresce la componente italiana. Tra i “nuovi poveri” si affacciano per la prima volta persone che hanno un’occupazione (nel settore turistico o della ristorazione, del commercio e dello spettacolo) e pure piccoli imprenditori che bussano per chiedere cibo o comunque aiuto per il pagamento delle bollette o dell’affitto. Si trovano sempre più giovani single e coniugati (con un picco rilevante tra i 35 ed i 44 anni) e questo spiega l’impatto devastante che la pandemia ha avuto sulla natalità. Nel 2020, con una forte riduzione dei movimenti migratori, si è purtroppo registrato un nuovo minimo storico di nascite (sedicimila in meno) dall’unità d’Italia, un massimo storico di decessi (quasi 112 mila in più rispetto al 2019). Ecco quindi spiegato perché al 31 dicembre scorso la popolazione residente in Italia era inferiore di quasi 384 mila unità rispetto all’inizio del 2020. Come se fosse sparita una città grande quanto Firenze.
La sfida demografica, dunque, anche alla luce dell’ultimo Rapporto Istat, si fa sempre più complessa e richiede da parte del Governo una riflessione ampia ed interdisciplinare, sempre più drammaticamente urgente ma purtroppo trascurata, sulle possibili vie per aiutare e sostenere le famiglie che desiderano avere figli. Proprio dal Volontariato che lavora in prima linea è partito l’invito a non sottovalutare l’evoluzione della crisi socio-economica ed a ripensare tempestivamente nuove e mirate misure d’intervento. Serve, come ha chiesto la Caritas, un passo in più, dopo che si è consolidata una ricchissima rete di solidarietà. Serve un coordinamento, perché le richieste di aiuto aumentano, le risorse messe a disposizione dai territori sono tante, ma se nei prossimi mesi non verranno adeguatamente gestite, potrebbero non essere sufficienti per una presa in carico integrata dei “nuovi poveri”.