di Carlo Parenti · Un mio anziano amico, già direttore generale e amministratore delegato di alcune tra le primarie compagnie di assicurazione italiane, mi ha confessato che nel corso della sua vita ha spesso ripensato a suo padre, il quale temeva che fosse troppo sensibile e quindi potesse essere fuorviato da persone poco corrette e a sua madre, che gli insegnava ad avere rispetto per chi era più anziano di lei (mi viene in mente il tema caro a Francesco sull’importanza dell’insegnamento dei nonni). Ambedue gli hanno trasmesso principi indelebili di rettitudine e di onestà. Tali insegnamenti gli sono tornati alla mente negli anni, quando ha dovuto prendere atto che ai vertici delle Società spesso arrivavano persone non adeguate né sul piano etico né su quello professionale. Esse manifestavano la costante volontà di realizzare disegni immaginati soprattutto per produrre interessi personali, comunque particolari a vantaggio solo di pochi, indipendentemente dalle ricadute sull’azienda e sui lavoratori. Oggi , quando ha raggiunto gli 83 anni, può dire che la corazza costruita su di lui da suo padre, con il suo illuminato esempio, è stata sufficiente a respingere ogni attacco, anche quelli più pericolosi. Si è convinto, alla fine, che l’integrità ha un prezzo, ma che questo prezzo, per quanto alto sia, vale sempre la pena pagarlo. E posso testimoniare che ha personalmente molto “pagato” per salvare aziende da mani rapaci di furfanti travestiti da illuminati manager. Senza arricchirsi! E subendo ingiustizie.
Può sembrare che questo sia un discorso da libro Cuore, il romanzo ottocentesco di Edmondo De Amicis, che tratta col linguaggio del tempo, anche in modo paternalistico, di forti valori morali, familiari, fraterni, di relazioni sociali solidaristiche ed eque. Può sembrare…e Roberto se ne rende conto a costo di apparire patetico e nostalgico!
Ma il richiamo ai principi e alla correttezza ed equità nelle relazioni è in realtà molto moderno e anche nel mondo delle imprese si è finalmente fatto largo e se ne è compresa l’importanza. Mi riferisco primariamente ai principi di Corporate Governance, cioè agli elementi propri di un corretto governo societario che includono principi come onestà, fiducia, apertura mentale, orientamento ai risultati, responsabilità, rispetto reciproco e impegno nella società.
È importante quindi che la direzione e il management sviluppino un modello di governo che allinei i valori dei vari partecipanti della società, e che provveda a un controllo periodico – anche attraverso funzioni quali la Compliance, il Risk Management, l’Audit – dell’efficienza del modello. In particolare, il senior management deve impegnarsi in maniera etica e onesta, soprattutto di fronte a conflitti di interesse reali o apparenti. Vanno garantiti diritti e trattamento equo degli azionisti. Si deve assicurare a tutti i soggetti, individui od organizzazioni, attivamente coinvolti nella attività d’impresa (stakeholder quali, ad esempio – oltre ai soci di maggioranza e minoranza – lavoratori dipendenti, collaboratori autonomi, clienti, fornitori, parti sociali, finanziatori). il rispetto dei loro interessi. Va quindi usata chiarezza e verità nei report finanziari, equità e proporzionalità nelle retribuzioni, attenzione reale ai bisogni dei clienti e al rispetto dell’ambiente naturale e sociale. Tutto questo ha significativamente trovato ulteriore spazio nel concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa. Cioè l’idea che – dopo quelle economiche – le performance e le esternalità sociali delle aziende siano qualcosa di imprescindibile. E molte realtà imprenditoriali si sono interrogate in maniera sempre più attenta e puntuale sul proprio ruolo all’interno della società. Proprio in questo solco nell’agosto 2019 le grandi corporation della “Business Roundtable” – associazione che riunisce i vertici di alcune delle principali imprese USA – hanno sottoscritto un documento attraverso il quale i loro manager si sono impegnati a ripensare le proprie decisioni in base all’impatto che queste possono avere sull’ambiente e sulle comunità locali.
Una “dichiarazione d’intenti” condivisa da ben181 tra i più importanti “colossi” americani (quali Amazon, Google, General Motors, JPMorgan, Johnson & Johnson, Apple, Boeing, etc), che, inoltre, si focalizza anche sul citato rapporto tra le imprese e i loro stakeholder, sia interni che esterni, impegnando i vertici delle corporation ad agire in maniera corretta ed etica nei loro confronti, nel pieno rispetto dei dipendenti, dei fornitori e dei consumatori.
La dichiarazione contiene tre punti fondamentali.
In primo luogo le multinazionali si impegnano a sviluppare una supply chain (catena di distribuzione) etica: ciò comporta maggiore attenzione verso tutti i fornitori e, ovviamente, verso tutte le piccole e medie imprese che interagiscono a vari livelli con queste grandi società. Il secondo punto è dedicato ai dipendenti, che vanno valorizzati promuovendo politiche di formazione continua e iniziative di welfare, come sanità integrativa e previdenza complementare. L’ultimo aspetto riguarda le comunità locali: l’impegno è quello di supportare e promuovere le realtà in cui le aziende operano, anche (e soprattutto) sotto il profilo ambientale.
Tutto questo segna un evidente punto di discontinuità all’interno della cultura liberale e di mercato che, finora, ha sempre sostenuto e insegnato che l’impegno dell’impresa è innanzitutto nei confronti dei propri azionisti: produrre utili, distribuire dividendi, massimizzare il valore d’impresa per gli shareholders. Poco spazio quindi alla responsabilità sociale d’impresa. So che negli ultimi 15 anni le aziende Usa hanno distribuito ben il 94% dei profitti agli azionisti.
Oggi invece- e speriamo che siano fatti e non parole– si afferma che “I datori di lavoro stanno investendo nei lavoratori e nelle comunità perché sanno che questo è l’unico modo per avere successo a lungo termine”. Così il capo della “Business Roundtable“, che è l’amministratore delegato di JPMorgan Chase & Co., la più grande banca al mondo. Ciò nell’ottica della sostenibilità, responsabilità sociale, ecologia integrale, economia circolare.
Concetti al centro della Laudato Sì di papa Francesco, che sul tema si è più sinteticamente espresso in una intervista (vedi) al Sole 24 Ore del 7 settembre 2018. Una vera e fondamentale lezione di gestione d’impresa.
Vi sono indicazioni importanti. Riprendono appunto i fondamentali temi della sua enciclica “Laudato si’” -sulla “cura della casa comune”- per lavoro e dignità, persona, sviluppo e giustizia sociale e della “Evangelii Gaudium” (“La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita”, nel contesto di una ‘economia giusta’ che sappia andare oltre ‘il feticismo del denaro’”). E rilanciano in modo nuovo i grandi temi del rapporto tra la Chiesa e l’economia, dalla “Gaudium et spes” del 1965 alla “Populorum progressio” di Paolo VI del marzo 1967 sino alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI del giugno 2009, sulla grande traccia della “Rerum novarum” di Leone XIII del 1891, le radici della “dottrina sociale” della Chiesa.