di Antonio Lovascio · C’è una grande «crisi» di speranza. Ma allo stesso tempo una grande voglia di vedere una Chiesa cattolica capace di dare risposte concrete al mondo contemporaneo. Un sondaggio svolto dall’Istituto Demopolis dimostra quanto sia stata profetica – per la rilevanza e l’urgenza – la scelta di Papa Francesco di dedicare l’Anno Santo 2025 proprio al tema della fiducia, dopo aver toccato con mano, nei suoi dodici anni di pontificato, che abbiamo smesso di sperare forse perché siamo diventati ciechi gli uni verso gli altri. Il 76 per cento degli intervistati (tre su quattro) è infatti d’accordo con il Santo Padre, la figura pubblica della quale, in assoluto, gli italiani si fidano di più: ben oltre la fede o la pratica religiosa.
Piace la sua sintonia con i bisogni reali delle famiglie, la chiarezza e la spontaneità delle sue parole, anche se solo uno su sei si dichiara «praticante con la partecipazione regolare alla Messa”.
Interessante pure scoprire quali siano le «attese» che gli italiani coinvolti nella ricerca hanno nei confronti dei temi su cui il Giubileo dovrebbe accendere i riflettori, anche mediatici. Al primo posto con il 70% troviamo «l’impegno per la pace in tutte le aree di guerra», seguito dal «combattere le cause strutturali della povertà e della fame», con il 58% e «l’impegno contro le diseguaglianze» che supera di poco la metà dei voti (51%). Seguono «attenzione alla dignità di ogni persona» (44%), «tutela dell’ambiente» (40%) e «impegno per la fratellanza universale» (31%). Argomenti, come si può notare, che sono parte integrante della predicazione del Pontefice argentino. Lo si può riscontrare anche nelle risposte che il campione degli interpellati ha dato alla richiesta di indicare «le caratteristiche distintive del magistero di papa Francesco». Ecco al primo posto con il 68% il suo «richiamo costante alla pace contro le guerre e alla fratellanza contro l’odio», che supera di poco «l’attenzione agli ultimi e ai più deboli con il ritorno al Vangelo» con il 60% delle risposte. Al terzo posto, in realtà, troviamo la «spontaneità, il linguaggio e modo di comunicare» di Bergoglio che conquista un 51% di risposte positive. In questa classifica di caratteristiche troviamo anche «l’attenzione verso i giovani come protagonisti del futuro» (44%), «l’impegno per una Chiesa accogliente nei confronti di tutti» (42%), un «impegno nel rinnovamento della Chiesa» (41%) e «l’attenzione alla crisi climatica e alla tutela dell’ambiente» (40%).
E’ vero: con riflessioni, omelie, libri e perfino con interviste televisive Papa Francesco certo non si risparmia nel tessere relazioni con la Comunicazione. E non è un caso che abbia voluto fissare in agenda come primo importante evento dell’Anno Santo proprio il Giubileo dei Media, incontrando nell’Aula Paolo VI – dopo le stimolanti testimonianze della filippina Maria Ressa (Premio Nobel per la Pace 2021 ) e dello scrittore irlandese-americano Colum McCann – migliaia di giornalisti e scrittori di tutto il mondo. Mettendo da parte il discorso scritto, parlando a braccio, confidenzialmente quasi da “collega” a colleghi, ha fatto appello agli operatori dell’informazione invitandoli a parlare con il cuore e a diffondere speranza. “Con la parola coraggio- ha detto – possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio diffuso nella festa di San Francesco di Sales per quella che celebreremo nel 2025. Ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore. In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione fatta con responsabilità per creare ponti ed aprire porte… “.
Poi, in questo Giubileo Bergoglio ha fatto un’altra raccomandazione: “ Raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi”. Perché “raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza”. In sostanza, diffondere speranza “significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri. Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere. Vuol dire far camminare le cose verso il loro destino”.
Quella del giornalista è più che una professione. È una vocazione e una missione. I comunicatori, attraverso le parole e le immagini, con lo studio, la capacità di vedere e ascoltare, devono sapersi mettere dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato; anche per far rinascere – nel cuore di chi legge, ascolta, guarda – il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene raccontato e testimoniato. Ecco dunque il bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità.